Mundin pensò al capitano Kowalik, nervoso e impaurito perché il commissario Sabbatino non gli parlava più. Disse;

«Durante il nostro progetto, dovrò incontrare Green, Charlesworth?»

Sorrisero tutti educatamente, e risposero che no, questo sarebbe stato molto difficile. Green, Charlesworth non facevano nulla, quando si trattava di operare o produrre direttamente. Erano dei finanzieri. Il loro campo era solamente il capitale.

«Ma,» disse Bliss Hubble, cercando di non apparire troppo preoccupato, «Se per caso dovessero fare il loro ingresso in scena, non tenti di trattare la cosa personalmente, Charles. Si metta in contatto con noi.»

Nelson annuì, nervosamente:

«Francamente,» disse, «Non sappiamo quale sia la loro posizione, in questa faccenda, Charles. Bliss e io pensiamo che la faccenda, per loro, non dovrebbe avere la minima importanza. A loro non importa un accidente dell'esito, in un senso o nell'altro. Harry pensa, invece, che dovrebbero essere favorevoli a noi... non che essi votino, naturalmente ma hanno, be', certe influenze morali alle quali non si può resistere.» Deglutì, visibilmente impacciato. «Però non riusciamo a metterci in contatto direttamente con loro.»

Mundin disse:

«Volete che vada io da loro?»

Fecero un sorriso spettrale, e scossero il capo, all'unisono. Hubble disse, bruscamente:

«Io penso che ci siano addosso. Probabilmente, sanno tutto quello che abbiamo già fatto, conoscono le nostre mosse una per una, e, per il momento, non desiderano compromettersi... ecco tutto. Non ancora...»

Mundin guardò i tre Titani, pensieroso. Poi domandò:

«Quando parlate di 'loro', chi intendete, esattamente?»

Iniziò una discussione a tre voci. Coett era convinto che Green, Charlesworth, fossero essenzialmente i più alti personaggi della banda di Memphis, uniti ai magnati dei solventi biodegradabili e ai pezzi grossi degli elettrici. Lui, personalmente, apparteneva alla banda del Sud-Ovest, e rappresentava il gruppo dei prodotti chimici inorganici.

Nelson, che era New England e metalli non-ferrosi, credeva che Green, Charlesworth fossero, essenzialmente, California, carbone-petrolio-acciaio e mass-media.

Hubble, che era mass-media e New York, disse che era impossibile. Lui pensava che Green, Charlesworth fossero essenzialmente denaro.

Su questo punto, tutti si dichiararono d'accordo. Con aria visibilmente preoccupata.

«Sentite,» disse Mundin. «Desidero chiarire una cosa, una volta per tutte. Se Green, Charlesworth prendessero posizione contro il nostro progetto, dovremmo abbandonare tutto?»

Lo guardarono, come se lui fosse stato un bambino di due anni.

«Se ci fosse possibile, ragazzo mio,» sorrise Harry Coett, cupamente. «Non dica queste cose neppure per scherzo, mai. Dubito, comunque, che ci sarebbe possibile, nella peggiore delle ipotesi: arrestare cose del genere è qualcosa di superiore alle forze umane. Nella più fortunata delle evenienze, perderemmo una grossa somma di denaro... Ma ho fiducia. Credo che si tratti, essenzialmente, del problema di mettersi in contatto con loro. Dopotutto, noi stiamo facendo un passo avanti. E Green, Charlesworth, sono sempre stati dalla parte del progresso.»

«Della reazione,» disse Nelson.

«Dei moderati,» insisté Hubble.

«Ma chi sono? Dove sono? Esiste un vero signor Green, e un vero signor Charlesworth? Sono due uomini o due semplici nomi?»

Hubble disse:

«I loro uffici si trovano nell'Empire State Building... sì, occupano l'intero grattacielo.» Tossicchiò. «Le ho mentito, quella volta, quando siamo passati davanti all'Empire State Building. Le chiedo scusa. Allora non la conoscevo bene.»

Mundin spalancò gli occhi.

«Ma... nella vecchia New York? Credevo che l'intera città fosse stata condannata, dopo il bombardamento.»

Hubble scosse il capo.

«Immagino che sia quello che essi vogliono fare credere a tutti, Charles. Ma sono là, naturalmente. Si possono vedere le luci nell'edificio, di notte... le uniche luci dell'intera città. Non è una specie di faro, come la gente immagina. E in quanto all'esistenza di un vero signor Green e di un vero signor Charlesworth... no. O meglio, dovrei dire probabilmente no. Il nome della società è vecchio di almeno un paio di secoli, e così... Ma ammetto di non essere sicuro di nulla, su questo argomento. Quando si va là, non si vede mai nessun personaggio importante. Impiegati, dirigenti di sezione, funzionari inferiori. Si fanno affari con loro; e ci sono delle lunghe attese, a volte di settimane, prima che essi prendano delle 'decisioni sulla politica della società'. Suppongo che questo voglia dire che essi attendono delle istruzioni. Be'... congratulazioni, Charles. Ora lei sa quello che anche i più informati sanno su Green, Gharlesworth. Nessuno sa di più. Ricordi solo che, se dovessero fare il loro ingresso in scena, in qualsiasi modo, in qualsiasi momento, o se lei scopre qualcosa di, be', anormale,che le faccia venire dei sospetti, lei sa già cosa fare... chiami noi. Tratteremo noi la faccenda.»

Harry Coett aggiunse:

«Ma questa è soltanto una precauzione. Non ci saranno inconvenienti, ne sono sicuro. Staranno con noi, quando le puntate saranno in tavola. Fondamentalmente, dopotutto, sono dei progressisti.»

«Dei reazionari!» disse Nelson.

«Dei moderati!» insisté Hubble.

 

Norvie Bligh annunciò:

«Coshocton! Fine corsa!»

Mundin trasalì, sul suo sedile, e si guardò intorno, per un momento smarrito. L'elicottero stava scendendo.

Guardò fuori. Sotto di loro si stendeva Coshocton, la città più comune nel più normale stato dell'Unione. Cinquant'anni prima Hamilton Moffatt 'padre della casa a bolla', aveva firmato il primo dei contratti di concessione all'industria da parte della G.M.L., con la Società Americana di Pompe Funebri di Coshocton.

Mundin domandò:

«Riesci a trovare la città a bolla?»

«La stiamo sorvolando in questo momento. È pronto il suo spruzzatore?»

Non era uno spruzzatore; era un grosso serbatoio pressurizzato, colmo di fluido dorato. Mundin abbassò una leva, per aprire la bocca di quello straordinario 'spruzzatore'; la lancetta di un indicatore che si trovava davanti ai suoi occhi cominciò a muoversi, indicando che lo 'spruzzatore' stava spruzzando.

«Avanti con il primo passaggio,» ordinò Mundin.

L'elicottero sorvolava la città a bolla, a un'altezza di trecento metri, lasciando cadere una scia di fluido dorato. Le gocce si vaporizzavano, in parte, quando uscivano dal serbatoio; ma il fluido era pesante, e il liquido raggiunse le case a bolla in quantità sufficiente a ricoprirle di una sottile pellicola dorata.

Per quattro volte Norvell Bligh sorvolò la città a bolla, fino a quando anche l'ultima goccia di liquido non fu uscita dal serbatoio. Poi riprese i comandi, e preparò il pilota automatico per la lunga rotta che li avrebbe riportati al punto di partenza, lasciando a Coshocton le case a bolla che erano state cedute alla Società delle Pompe Funebri per essere utilizzate dai suoi dipendenti a contratto; che erano state ovviamente assorbite dalle Fonderie Generali, quando la Società delle Pompe Funebri era stata assorbita da quella gigantesca compagnia, a causa delle preferenze generali accordate alla cremazione; che erano state a suo tempo assorbite dalla Nazionale Non-Ferrosi; che apparteneva, a sua volta, all'amico di Mundin, il signor Nelson, il quale era a casa e batteva i denti, pensando al costo che per lui avrebbe significato il lavoro di Mundin e Bligh, nel corso di quella notte.

 

CAPITOLO XX

 

Bligh stava offrendo dei sigari a tutti.

«È un maschio,» diceva orgogliosamente a tutti coloro che erano disposti ad ascoltarlo, nello studio. «Ho guardato io stesso nel fetoscopio. Il dottore dice che è il più bell'embrione di quaranta giorni che abbia mai visto, senza scherzi. Dio Onnipotente, quando il piccolo nascerà, giuro che dovrà avere tutto quello che io non...»

Charles Mundin emerse dal suo ufficio.

«Buongiorno!» ruggì Norvell Bligh. «È un maschio, capo! Il dottore era entusiasta. Vuole un sigaro?»

«Congratulazioni,» disse Mundin, acidamente. «Norvie, possiamo metterci al lavoro, adesso? Oggi è il gran giorno, dopotutto!»

Norvie si calmò, e disse:

«Sissignore.»

Insieme, entrarono nell'ufficio di Ryan.

Un'impiegata aveva udito la breve conversazione. Norma Lavin, che seguì i due uomini con mezzo minuto di ritardo, vide che la ragazza sollevava un vaso di fiori e lo accostava alle labbra. Aveva sete? si chiese Norma. Ma la ragazza non beveva l'acqua; le sue labbra si stavano muovendo. Forse si stava liberando elegantemente del suo chewing-gum,pensò Norma. O stava... parlando? Ma in quel preciso istante Norma fu salutata da Bliss Hubble, e il nuovo incontro le fece dimenticare il piccolo incidente.

E questo fu un vero peccato, in un certo senso, perché la ragazza non si stava liberando della sua gomma da masticare. Norma Lavin udì, vagamente, il sommesso bisbiglio dell'impiegata, ma in quel momento era troppo occupata ad allontanare, con un colpo di gomito, la mano di Bliss Hubble dal suo braccio, e nessuno guardava l'impiegata.

La ragazza posò di nuovo il vaso, e si rimise alacremente al lavoro.

I Sette Grandi... i due Lavin, Mundin, Ryan, Hubble, Nelson e Coett... con l'aggiunta dell'onnipresente Norvell Bligh, erano riuniti nell'ufficio di Ryan.

Norma stava dicendo, in tono caustico:

«Io non impongo il fatto biologico di essere una donna, e non ammetto che altri me lo impongano. Se il signor Hubble non è capace di tenere le sue maledettissime mani a posto, esigo almeno di essere lasciata in pace durante le ore di lavoro. Dopo le ore di lavoro, riuscirò facilmente a evitarlo.»

Bliss Hubble sorrise:

«Mi scusi, Norma, ma...»

«Lavin!»

«Mi scusi, Lavin, ma non so neppure io quello che faccio. Sono disposto ad ammettere di essere un po' nervoso, oggi; è il giorno decisivo, o la va o la spacca. Lo sappiamo tutti.»

«Siamo tutti nervosi, signorina,» la blandì Harry Coett. «Devo ammettere che io per primo sono stanco di restarmene seduto qui. Lei è sicuro, Mundin, che il suo amico... ehm... abbia fatto quello che avrebbe dovuto fare?»

Mundin si strinse nelle spalle. Poi disse, dopo un istante di pausa:

«Qualcuno vuole del caffè, o qualcos'altro da bere?»

Nessuno voleva niente. Nessuno voleva niente, all'infuori della fine della lunga attesa. A parte Norma, la cui collera stava ancora divampando, e a parte Don Lavin, che era in uno stato di perenne ebbrezza, dopo il lungo torpore del condizionamento, tutti coloro che si trovavano nella sala mostravano visibili segni di nervosismo e preoccupazione.

E poi...

Norvie Bligh, che era rimasto curvo su un apparecchio televisivo, in un angolo, gridò:

«Ci siamo!» Manovrò immediatamente i comandi del teleschermo e del volume.

«...IN UN PRIMO TEMPO ATTRIBUITA ALLE VIBRAZIONI,» ruggì l'annunciatore; poi, finalmente, Norvell riuscì a regolare il volume. «Esperti della G.M.L. affermano d'altronde che la cosa, a prima vista, pare improbabile. Una squadra di ingegneri della G.M.L. è stata inviata a Washington per studiare il sinistro. Ora vi presentiamo una fotografia della Prima Casa a Bolla, presa dai nostri archivi. Ecco com'era...»

Apparve la fotografia; ed essi videro la Prima Casa G.M.L., minuscola nella gigantesca Sala dei Basilari.

«... e come è...»

Una ripresa dal vivo, ora: stesso luogo, stessa sala... ma al posto della scintillante casa a bolla un ammasso di rottami, con degli uomini in uniforme, apparentemente minuscoli, che si arrampicavano sulle macerie.

Norma Lavin gemette:

«La... la prima casa di papà!» e scoppiò in lacrime. Gli altri le lanciarono delle occhiate incredule, e ritornarono a fissare subito lo schermo, affascinati e impauriti.

«Ci colleghiamo ora con la nostra redazione di Washington, dove il nostro corrispondente intervisterà per voi il dottor Harry Proctor, direttore del Museo. A voi Washington.» Una breve pausa, poi un'altra voce.

«Abbiamo avvicinato per voi il direttore del Museo. Dottor Proctor?» Il volto da coniglio spaventato apparve sullo schermo, tremante.

«Dottor Proctor,» domandò la voce cortese dell'annunciatore, «Quali potrebbero essere state, secondo lei, le cause del crollo?»

«Io... davvero... io... be', davvero, non ho alcuna opinione in merito. Io sono... ehm... completamente all'oscuro... ehm. Per me è un vero enigma. Temo di non poter essere... ehm... minimamente di... Non ho alcuna opinione. Davvero.»

«Grazie, dottor Proctor.»

A Mundin, in quel momento, parve che tutto fosse perduto; qualunque stupido avrebbe potuto leggere la colpa sulla faccia tremante e pallida, e dedurre immediatamente che Proctor aveva spruzzato la casa a bolla con un solvente fornito da qualcun altro; e sarebbe bastato ben poco per identificare in Charles Mundin, avvocato, quel 'qualcun altro'. Ma l'annunciatore stava continuando a parlare; e il volto da coniglio spaventato scomparve dallo schermo.

L'annunciatore della redazione centrale disse:

«Riceviamo in questo momento una dichiarazione rilasciata dalle Case G.M.L. Il signor Haskell Arnold, presidente del consiglio di amministrazione delle Case G.M.L., ha annunciato ora che la direzione tecnica della società ha raggiunto delle provvisorie conclusioni riguardanti il modesto inconveniente riscontrato...» Perfino l'annunciatore si interruppe, impaperandosi, nel leggere quell'affermazione. Coloro che lo ascoltavano, ricordando l'ammasso di rottami che avevano appena visto, scoppiarono in una fragorosa risata, e si diedero robuste pacche sulle gambe, in un parossismo di sollievo, dopo la tensione provata fino a quel momento. «Il... ehm... modesto inconveniente riscontrato nell'Unità Uno G.M.L. Essi dichiarano che esso è da attribuirsi esclusivamente a condizioni vibratorie eccessive e all'ambiente chimico del Museo, completamente al di fuori della norma. Il signor Arnold ha testualmente dichiarato: 'Non c'è alcuna possibilità che l'inconveniente si ripeta altrove'.» L'annunciatore sorrise, e posò uno dei fogli che aveva in mano. Poi, ritornato allegro e suadente, continuò, «Be', signore e signori, posso dire di essere felicissimo di sapere questo, come lo sarete voi tutti che vivete in case a bolla.

«E ora, per gli sportivi, il nostro collegamento mattutino con la Giornata dei Giochi di Grosse Pointe. Sarà uno spettacolo eccezionale, prodotto dal veterano degli impresari, Jim 'Sangue e Budella' Hanrahan. Una bella quantità di solido, tradizionale divertimento. Il primo spettacolo...»

«Spenga quell'aggeggio,» ordinò qualcuno a Norvell. Egli obbedì, controvoglia, sforzandosi di captare le ultime parole. Ricordando.

Fu Harry Coett a rompere brutalmente il silenzio.

«Be', ecco fatto. Ora siamo in ballo. C'è qui qualcuno che sia spaventato quanto me?»

«Credo di sì,» disse Hubble, lentamente. «Sa, Mundin, non sono ancora riuscito a mettermi in contatto con Green, Charlesworth.»

 

Gli uffici di Alive,poderosa ammiraglia della grande flotta editoriale Alive-Space-Chance,la regina dei mass-media,erano in tumulto. Subito dopo i caratteri cubitali attirati dal disastro di Washington, la redazione di Coshocton, nell'Ohio, aveva inviato l'incredibile notizia di un altro, e ben più spaventoso, cataclisma.

«Continua a trasmettere!» gridò il direttore al corrispondente di Coshocton, mettendolo in contatto con uno dei cronisti che avrebbero dovuto stendere l'articolo. Poi chiamò il direttore artistico, «Manda immediatamente una squadra di fotografi e operatori a Coshocton nell'Ohio. La maledettissima città a bolla sta cadendo a pezzi!» Il direttore artistico assentì, e pronunciò alcuni ordini in un microfono. Sul tetto, sul terrazzo di atterraggio, un aereo da trasporto, che rimaneva sempre pronto e con i motori accesi, ruggì e decollò, con a bordo dei famosi fotografi e tutte le loro apparecchiature. Un cicalino suonò, nella camera attigua al terrazzo di atterraggio; un'altra squadra di fotografi dimenticò le carte da poker, e salì a bordo di un secondo aereo, che si spostò nel punto di partenza, e si preparò a ogni evenienza, con i motori accesi.

Il direttore gridò:

«Archivio! Mandate su tutto l'incartamento sulle G.M.L. Guasti, incidenti, garanzie, tutto il resto. Scienza! Due esperti immediatamente al lavoro su precedenti, giustificazioni e ipotesi. Foto! Lasciate perdere tutto; preparatevi a cambiare completamente l'impaginazione. Trasmissione! Lasciate perdere tutto; tenetevi pronti a produrre; tre pagine di trasmissione, a colori, in arrivo. Midwest! Midwest... cosa diavolo aspettate? Mandate subito una squadra a Coshocton, nell'Ohio; la Città a Bolla G.M.L. sta crollando. Arte! Preparatevi a un remake... ricostruzione della scena del crollo delle case a bolla...»

E così via. Fino a quando...

Improvvisamente, il direttore lasciò perdere tutto quello che stava facendo e disse, a bassa voce, al suo assistente:

«Oh, Gesù. Prendi tu il mio posto, Mannin. Politica editoriale.»

Si alzò, aggiustò il nodo della cravatta, e salì una scala coperta da un lussuoso tappeto. Quando ebbe oltrepassato l'ostacolo costituito dalla segretaria dell'editore, egli disse, in toni flautati:

«Naturalmente, signore, a noi è sembrata subito una grande notizia. Ma vorremmo ottenere il beneficio del suo consiglio, in un settore così, ehm, delicato e importante. Credo che lei possieda delle azioni della G.M.L., signore, e così, ovviamente, lei avrà una visione dall'interno che a noi potrebbe sfuggire. Desidero sapere da lei, ehm... se, a suo giudizio, diffondere questa storia sia realmente nell'interesse del pubblico?»

«La diffonda,» disse nobilmente l'editore, nella migliore tradizione del grande giornalismo... nessun timore e nessun favore.

Il direttore, riconoscente ma curioso, disse:

«Grazie, signor Hubble.»

Indietreggiò umilmente, ritirandosi dalla Presenza.

Di nuovo nel suo ufficio, disse al suo assistente, con aria meditabonda:

«A volte, mi sembra che, dopotutto, non sia così avido ed egoista come pensiamo.» Si strinse nelle spalle, scosse il capo, e premette dei pulsanti sulla scrivania, gridando, «Qualcuno è già riuscito a mettersi in contatto con la G.M.L.?»

 

CAPITOLO XXI

 

L'ufficio di Norma Lavin era molto più che comodo; era lussuoso.

Ma, in esso, Norma non era particolarmente felice. Ryan riteneva più prudente che lei non si avventurasse fuori dell'appartamento. Suo fratello Donald, in piena forma, era occupatissimo a dirigere il personale fatto di cento dipendenti, alla Ryan & Mundin. Mundin era occupato. Norma aveva ben poco da fare, all'infuori che starsene seduta a riflettere.

Se ne rimase seduta. A riflettere.

Pensava a una cosa, soprattutto. Al Fallimento della G.M.L. Al crollo delle case a bolla. Alla distruzione del grande memoriale di papà, alla distruzione di tutto quello che aveva costituito, per lei, una preziosa memoria e un'eredità sacra. Doveva proprio essere così? Era necessario che tutto venisse violato e dissacrato e distrutto, che tutto il buono venisse estirpato, in quel modo così brutale?

Pensò, rabbiosamente: Mi trattano come se fossi una stupida, una degenere, solo perché io sono una donna. Hubble con quelle sue mani che non stanno mai al loro posto, e sono sempre pronte a toccare, quando c'è una donna nei paraggi. Coett, con la sua aria superiore, paterna, con quei suoi toni suadenti... mi tratta come se fossi una bambina. Mundin, con il suo... il suo...

Pensò, curiosamente: Mundin, con quella sua maniera esasperante, offensiva, oltraggiosa, di trattarmi come se io non fossi una donna...

Rifletté su tutte queste cose a lungo; dopotutto, non aveva altro di meglio da fare.

Fino a quando non vide il poliziotto di servizio, nell'atrio, mettersi a parlare al suo sfollagente.

Dapprima, la reazione di Norma fu uguale a quella che sarebbe stata la reazione di chiunque avesse visto un poliziotto parlare al suo sfollagente. Pensò che l'uomo fosse pazzo.

Ma non lo faceva con ostentazione; si era ritirato in un angolo nascosto, fuori vista... visibile solo a qualcuno che, per caso, avesse guardato fuori da una finestra, direttamente sopra di lui, pensò Norma. Solo poche parole mormorate, furtive.

Decise che il poliziotto doveva avere qualche rotella fuori posto, naturalmente. O che forse aveva deciso di ripassare un discorso che avrebbe dovuto fare al suo sergente.

Oppure, era davvero impazzito. Doveva esserci qualche spiegazione ragionevole; così dimenticò la faccenda, e continuò a riflettere. Pensò ai vecchi tempi, con un pizzico di nostalgia... non i vecchi,vecchi tempi, ma i vecchi tempi di Torcibudella, quando lei e Mundin avevano potuto lavorare insieme. Quando lei era stata al verde, e lui anche... molto diverso da quel momento. Ora lei era sull'orlo di un affare di miliardi,e lui era davvero occupato.

Accidenti a Mundin, pensò lei. E se ne sorprese... perché non se l'era mai presa con un uomo, prima di allora, per il fatto che lui non le aveva prestato attenzione.

Passarono tre giorni, prima che la noia costringesse Norma a vincere il normale atteggiamento che una persona assumeva nel vedere qualcuno che parlava a uno sfollagente; e forse questo non sarebbe accaduto se la signorina Elbers non avesse dovuto prendersi un giorno di permesso, per certi disturbi tipicamente femminili.

La signorina Elbers era l'impiegata che Norma aveva visto parlare a un vaso di fiori.

Il vaso si trovava ancora sulla scrivania della signorina Elbers; Norma fece diverse volte il periplo della stanza, osservandolo di sottecchi. Pareva assolutamente uguale a qualsiasi altro vaso di fiori.

Ma Norma era annoiata. Durante la pausa di colazione, lo fotografò da diverse angolazioni; un vaso di tipo cinese, alto circa trenta centimetri. E poi, ci vollero altri tre giorni prima che Norma decidesse di portare le fotografie a un antiquario, nella cui vetrina si vedevano dei vasi cinesi.

Lui disse, immediatamente:

«Non mi interessa, signora. È una copia, ed è anche una copia sbagliata.»

Norma gli diede del denaro. Lui parve sorpreso, ma si affrettò a spiegare:

«È la copia di un pezzo notissimo, un'urna funeraria cinese. Se la memoria mi aiuta...» e la memoria lo aiutò, come lui chiarì subito dopo, con orgoglio, «Direi che viene dal Kiln di Wu Chang, vicino a Soo Chou. Le proporzioni di questa copia sono buone, e così pure i colori. Ma i caratteri dei quattro medaglioni, e sulla fascia intorno alla spalla, sono sbagliati. Le urne funerarie hanno sempre i caratteri che significano 'mai', 'montagna', 'invecchiamento' e 'verde'. Non so cosa siano i caratteri che si vedono su questa copia, ma non sono quelli giusti. Temo che lei sia stata imbrogliata.»

«Grazie,» disse lei, pensierosa.

Ulteriori indagini la condussero al nome di una persona che avrebbe potuto tradurre i caratteri cinesi. Si trattava di un professore dell'Università della Columbia.

Trovò lo studioso nel suo ufficio, intento ad aggiustare il suo televisore. Galantemente, egli le assicurò che sarebbe stato un vero piacere. Inarcò le sopracciglia, osservando le fotografie, e alla fine disse:

«Non hanno senso. Non è cinese, di nessun periodo, lo giuro. Qua e là certi caratteri assomigliano a qualcosa di conosciuto, ma probabilmente si tratta di coincidenze. È facile immaginare, comunque, che un profano possa rimanere ingannato. È importante? Dopotutto, qualcuno ha, semplicemente, fabbricato un vaso falso, e nel decorarlo ha fatto un pessimo iavoro. Non capisco perché non abbiano copiato dei caratteri autentici, però.»

«Io lo capisco,» bisbigliò Norma, pallidissima.

Ryan, Mundin e Don parvero nervosi e distratti, mentre lei cercava di spiegare la cosa.

«Deve trattarsi di circuiti stampati. Probabilmente la screpolatura è metallica... un'antenna. Devono esserci dei transistor, e delle minuscole batterie, e Dio solo sa quante altre cose, in questo ordigno. Potremmo esaminarlo ai raggi X... ma chiunque abbia costruito un apparecchio del genere, avrà predisposto un dispositivo di autodistruzione, nell'eventualità di un'indagine... e magari qualcosa di peggio.»

Mundin domandò, lentamente:

«Lei ha toccato l'oggetto?»

«No!»

«Norma ha ragione,» disse Ryan, improvvisamente attento. «Meglio lavorare sull'impiegata. Quell'aggeggio è dinamite pura. Don, cerca di scoprire chi è la ragazza.»

Don Lavin andò a consultare i suoi archivi. Mundin esplose:

«Maledizione, non sono convinto. Questa faccenda, che viene proprio nel bel mezzo della nostra campagna... possibile che Haskell Arnold e i suoi colleghi siano così furbi?»

«No,» disse Ryan, gravemente. «Non Haskell Arnold e i suoi colleghi.»

«Ci sono,» annunciò Don Lavin. Il giovane aveva in mano una scheda. «L'impiegata si chiama Harriet Elbers. Nubile, ventiseienne, laureata alla Columbia, archivista ricercatrice presso i Fratelli Choate per tre anni, licenziata alla fine di una causa per una riduzione del personale. Uh, quoziente di efficienza molto alto, sì, contratto standard... be', non c'è altro. Abita con la madre vedova.»

«Sembra un'ottima ragazza,» disse Ryan, scoraggiato.

«Ryan, se non si tratta di Arnold...»

Ryan guardò Mundin, e si strinse nelle spalle.

«Chi? Chi, all'infuori di Green, Charlesworth? Arnold non opererebbe mai a questo modo. Non è il tipo. È solo un cospiratore da quattro soldi. Green, Charlesworth sono degli esperti... dei raffinati. Aspettano, fino a quando non ci buttiamo alla carica, e siamo in piena corsa, e poi allungano il piede e noi cadiamo e ci rompiamo il collo. Oppure... non lo fanno. A seconda di quello che essi ritengono più appropriato. Mi sono scontrato con loro una volta. Forse ricorderete tutti quello che ne è stato della mia carriera.»

Mundin disse:

«Una cosa è certa. Dobbiamo avvertire subito Hubble, Nelson e Coett. Questi sono gli ordini; e loro hanno messo i soldi, nella faccenda.»

«Certo,» disse Ryan, in tono assente. Stava fissando il vaso di fiori che si trovava sulla sua scrivania.

 

I tre grandi finanzieri non rimasero sorpresi o spaventati; rimasero impietriti.

Coett disse, in un accesso di collera:

«Maledizione, che bastardi! Ci lasciano andare avanti come degli idioti, e ci fanno spendere del denaro come se fosse stata acqua corrente, e poi, adesso...!»

Nelson gemette:

«I miei dipendenti di Coshocton! E questa maledetta causa per danni contro la G.M.L., è già stata messa a ruolo! Mio Dio, Mundin, è sicuro che non ci sia qualche errore?»

Hubble sembrava accettare la cosa con filosofia, almeno per quello che poteva. Era quello che aveva speso meno; anzi, aveva guadagnato qualcosa, per l'enorme incremento di tiratura dei suoi giornali.

«È meglio perdere qualcosa che perdere tutto,» disse, in tono rassegnato. «Comunque, devo ancora convincermi che un vaso dall'aria strana e la nostra... ehm... mancanza di contatti con Green, Charlesworth vogliano dire che essi sono contro di noi. Naturalmente, quando sarò convinto, avremo chiuso.»

Norma Lavin pareva folgorata.

«Lei lascerebbe tutto?» esclamò.

La guardarono tutti, ugualmente sorpresi.

«Mia cara,» disse Harry Coett, «Noi ricordiamo benissimo quello che è successo a suo padre. Lei l'ha dimenticato?»

Mundin disse, furibondo:

«Accidenti, Coett, ma è una pazzia! Si tratta solo di persone! Hanno solamente del denaro! E anche noi siamo delle persone, e abbiamo del denaro, in abbondanza. Va bene, forse loro ne hanno di più, ma non sono Dio Onnipotente! Possiamo batterli, se dobbiamo!» Si interruppe; Hubble, Nelson e Coett impallidivano sempre più a ogni parola.

Hubble riaprì gli occhi, che aveva chiuso per un momento, inorridito.

«Mundin,» protestò, debolmente. Non riuscì a dire altro.

Ryan disse, con voce tremula, e con le mani scosse da un tremito che Mundin non aveva visto, in lui, da diverse settimane.

«Forse, se uno di noi andasse a trovarli, Coett, forse...» Tutto il suo corpo stava tremando, ma egli aggiunse, debolmente. «Lo farò io. Nel peggiore dei casi, rifiuteranno di ricevermi. È già accaduto una volta, lo sa Dio!, ma non capisco come la nostra situazione potrebbe ulteriormente peggiorare...»

Coett disse:

«Chiuda il becco, vecchio, stupido!»

Hubble, più gentilmente disse:

«Lei sa come sono, Ryan. Se mandassimo qualcuno a rappresentarci, e non ci presentassimo direttamente... Dio!»

«Io non vado,» disse Nelson, con estrema determinazione.

«Io nemmeno,» disse Harry Coett.

E Hubble disse:

«Visto? C'è troppo da perdere. Spiacente.»

Norma Lavin, pallida e tremante, si alzò in piedi.

«Mio padre ha inventato la casa a bolla per...» cominciò a dire, incerta, e poi si riprese. «No! Lasciamo perdere queste cose... lasciamo fuori papà. Ma un quarto delle Case G.M.L. appartiene a Don e a me. È nostro capite? Nostro! Non vostro o di Green, Charlesworth. Se siete così vigliacchi da volerne uscire, potete uscire. Noi andiamo avanti, e vi dico che andremo avanti fino al giorno in cui saremo morti, o al giorno del giudizio, o al giorno della nostra vittoria... in ordine decrescente di probabilità. Non si tratta solo di denaro, sapete. Siamo andati avanti benissimo senza denaro. Possiamo farlo di nuovo. Si tratta della gente,Coett! Si tratta di render la vita degna d'essere vissuta per quei poveri diavoli che comprano le case a bolla col sangue della loro vita! La schiavitù è contro la legge, la G.M.L. ha violato la legge, ma noi stiamo prendendo il sopravvento, e noi cambieremo le cose. Capito?»

Avevano capito, ed era stato il colpo di grazia. Sette persone si misero a urlare insieme, perfino il vecchio Ryan. «... parli come un repubblicano, ragazza!» stava ululando Nelson; e, «Per l'amor di Dio, lasciatela parlare!» urlò Mundin; e Coett stava recitando un'interminabile litania di oscenità.

E la porta si aprì. Mishal, la guida, guardò dentro, con aria visibilmente turbata.

«Visitatore,» disse, e scomparve.

«Oh, accidenti,» disse Mundin, nell'improvviso silenzio, avviandosi verso la porta. «Avevo detto a quegli idioti... oh, sei tu!» Guardò, irritato, la figura di William Choate IV, che stava entrando. «Ciao, Willie. Senti, in questo momento sono terribilmente occupato...»

Il labbro inferiore di Willie Choate stava tremando.

«Ciao, vecchio,» disse, cupamente. «Ho... ehm... un messaggio per te.»

«Più tardi, Willie, per favore.» Mundin gli fece segno di andarsene.

Willie non si mosse.

Porse a Mundin una busta quadrata bianca. Mundin, combattuto tra il fastidio e l'esasperazione, la aprì e guardò distrattamente il biglietto bianco che la busta conteneva.

Poi lo guardò di nuovo.

Poi continuò a guardarlo, fino a quando Coett non parve rianimarsi, e balzò avanti, strappandoglielo di mano. Era scritto a mano, con una calligrafia impossibile, e diceva:

 

I signori Green, Charlesworth

chiedono la presenza

del signor Charles Mundin

e della signorina Norma Lavin

non appena possibile

 

Fu un lungo viaggio.

Willie, con l'aria di scusarsi, tirò fuori una rivista, non appena si furono sistemati a bordo dell'auto.

«Sai cosa diceva il mio bis-bis-bisnonno Rufus, Charles... 'Felice colui che in gioventù ha sviluppato, e nell'età adulta ha conservato in ogni fortuna, un sincero e appassionato amore per la lettura'. Mi è sempre piaciuto...»

«Ma certo, Willie,» disse Mundin. «Senti, cosa significa tutta questa faccenda?»

Willie sorrise, con aria rammaricata.

«Naturalmente,» spiegò, «Non era il mio vero bis-bis-bisnonno; mio nonno ne ha preso soltanto il nome, quando è entrato a far parte dello studio. È solo un modo per...»

Mundin disse, in tono pressante:

«Willie, per piacere. Ti ricordi i tempi di scuola?»

Willie parve sul punto di piangere.

«Accidenti, Charles! Cosa posso dire?»

«Puoi dirmi cosa significa tutta questa storia!»

Willie guardò Mundin. Poi si guardò attorno, guardò Norma, guardò ogni particolare dell'automobile. Poi guardò di nuovo Mundin. Il significato del suo atteggiamento era chiarissimo.

«Almeno, dimmi che cosa c'entri tu, nella faccenda,» lo supplicò Mundin.

«Accidenti, Charles!» Ma la risposta a questa domanda, almeno, era chiara, scritta in quei miti occhi bovini, in quelle labbra tremanti. Willie era quello che Dio lo aveva fatto: un semplice galoppino, e senza dubbio non ne sapeva molto di più di Mundin, sui come, dove e perché della faccenda. Mundin si arrese, e lasciò Willie alla sua rivista mentre egli fissava pensieroso la città in rovina che stavano attraversando.

Tutto l'edificio sapeva di vecchio. Mundin, Norma e Willie salirono su di un ascensore vecchio e cigolante, che li portò lentamente e faticosamente al cinquantesimo piano. Una lunga camminata, e poi un altro ascensore, ancora più piccolo, ancor più cigolante, ancora più decrepito.

Poi una stanza spoglia, con una dura panca. Willie li lasciò là; tutto quello che disse fu:

«Ci vediamo.»

Poi... l'attesa. Un'ora, e poi diverse ore. Non parlarono tra loro.

Mundin pensò di essere sul punto di esplodere... di perdere il controllo. C'era qualcosa di oscuramente minaccioso, in quell'edificio.

Poi pensò che quello era esattamente l'effetto che Green, Charlesworth volevano ottenere, lasciandolo a marcire là, in attesa, così a lungo. Volevano vedergli saltare i nervi. E così, fece uno sforzo, e riuscì a controllarsi.

E finalmente arrivò un ometto silenzioso, che li condusse in un'altra stanza.

Non c'era posto per sedersi, e nemmeno per appendere i soprabiti. Mundin ripiegò il suo soprabito sul braccio, e rimase in piedi, a fissare gli occhi immobili dell'uomo seduto alla scrivania. Era un uomo imponente, dai lineamenti magri, dai capelli neri, con le tempi spruzzate d'argento. Egli si chinò in avanti, con aria sicura e disinvolta, apparentemente valutandoli; teneva il mento posato nel cavo della mano, con le dita che gli coprivano le labbra, e i suoi occhi seguivano Mundin, mentre il petto si alzava e si abbassava ritmicamente. A parte questi movimenti, era perfettamente immobile.

Mundin si schiarì la gola.

«Signor... ehm... Green?» domandò.

L'uomo disse, in tono privo di qualsiasi emozione:

«Noi la disprezziamo, signor Mundin. Noi la distruggeremo.»

Mundin esclamò:

«Perché?»

«Lei sta Facendo Dondolare la Barca, Mundin,» disse l'uomo attraverso le dita, senza che i suoi occhi penetranti abbandonassero quelli di Mundin.

Mundin si schiarì la gola.

«Senta, signor Green... lei è il signor Green?»

«Lei è il Nostro Nemico, Mundin.»

«Ehi, aspetti un momento!» Mundin fece un profondo respiro. Per piacere,supplicò silenziosamente la sua ghiandola adrenale, Piano! ordinò alla pulsazione sorda che gli stava nascendo nella nuca. Disse, in tono pieno di moderazione, «Sono sicuro che potremo metterci d'accordo, signor Gr... signore. Dopotutto, non siamo avidi.»

La figura disse, con fermezza:

«Uomini Come Lei potrebbero Distruggere il Mondo, se noi lo permettessimo. Ma non lo permetteremo.»

Mundin si guardò intorno, senza speranza. Quell'uomo era evidentemente pazzo; qualcun altro, chiunque altro... ma non c'era nessuno. All'infuori della scrivania e dell'uomo, non c'era nulla, nella stanza, oltre a due armadietti di vetro smerigliato, a Mundin e alla ragazza. Disse:

«Senta, mi ha fatto venire qui solo per insultarmi?»

«Lei ha messo le Dita nella Sega, Mundin. Le saranno Recise.»

«Pazzo,» mormorò debolmente Norma.

«Maledizione!» urlò Mundin. Scagliò violentemente a terra il suo soprabito, ma il gesto non servì a calmarlo. «Se lei è pazzo lo dica, e mi faccia uscire di qui! Non ho mai sentito un'idiozia simile in tutta la mia vita!»

Si fermò, a metà della sua sfuriata. Si fermò di colpo.

L'uomo non lo stava più guardando. Lo stesso sguardo fisso e immobile che era stato diretto a Mundin era adesso diretto, penetrante e freddo, al soprabito che giaceva sul pavimento. E fu al soprabito che l'uomo immobile disse:

«Noi l'abbiamo fatta venire qui, Mundin, per Vedere l'Infamia con i Nostri Occhi. Ora l'abbiamo vista, e la Spazzeremo Via.» E poi gridò, sorprendentemente, in tono stridulo, «Ehi!»

Mundin deglutì, e fece un passo avanti, impacciato. Tre passi ancora, e raggiunse la scrivania, si piegò su di essa, e guardò là dove avrebbero dovuto esserci i pantaloni dell'abito sobrio e di eccellente taglio dell'uomo.

Il personale di Green, Charlesworth non portava pantaloni, quell'anno. Il personale di Green, Charlesworth indossava piedistalli di bronzo da cui uscivano grossi cavi neri, e delle targhe di ottone che portavano scritto:

 

WESTERN ELECTRIC

SEGRETARIO INSONNE

115 Volt

 

«Ehi!» gridarono le labbra immobili in tono stridulo, proprio nelle orecchie di Mundin. «Basta così, Mundin. Aveva ragione lei, suppongo, signora Green.»

Mundin fece un balzo indietro, come se i 115 volt gli avessero attraversato le tonsille. Un guizzo di luce colpì i suoi occhi; i due armadietti di vetro si erano illuminati. Si voltò a guardare, rendendosi conto, vagamente, che Norma si era afflosciata accanto a lui.

E si pentì subito di avere guardato.

Il contenuto dei due armadietti erano: Green e Charlesworth. Green, una femmina, incredibilmente decrepita, impossibilmente grinzosa, completamente glabra.

Charlesworth, un maschio, incredibilmente, impossibilmente scheletrico e raggrinzito e decrepito, completamente glabro. Pietosamente, le luci si spensero in quel momento.

Un'altra voce disse, sempre attraverso le labbra immobili:

«Possiamo ucciderlo, signor Charlesworth?»

«Penso di no, signora Green,» rispose il Segretario Insonne a se stesso, con la prima voce.

Mundin disse, con forza:

«Aspettate un momento.» Era stato un semplice riflesso. Giunse alla fine della frase, e si fermò.

La voce femminile disse, tristemente:

«Forse si suiciderà, signor Charlesworth. Gli dica a che cosa si è messo contro.»

«Lui sa già a che cosa si è messo contro, signora Green. Non è così, Mundin?»

Mundin annuì. Era ossessionato dagli occhi del Segretario Insonne, che ora erano puntati inesorabilmente su di lui... attratti, forse, dal movimento.

«Glielo dica!» gridò con voce stridula la signora Green. «Gli dica di quella ragazza! Gli dica che cosa le faremo!»

«Una Figlia del Maligno,» disse la voce, meccanicamente. «Vuole toglierci la G.M.L.»

Mundin si rianimò, a quelle parole.

«Oh, no!» gridò. «Non a voi! Solo ad Arnold e alla sua banda!»

«Sono le Nostre Dita Noi?» domandò la voce. «Sono le Nostre Braccia e le Nostre Gambe Noi? Arnold è Noi!»

La voce femminile pigolò:

«La ragazza, signor Charlesworth. La ragazza

«Una Cortigiana Dipinta,» osservò la voce maschile. «Vuole liberare gli schiavi, ha detto. Parla come il signor Lincoln!»

«Noi Abbiamo Sistemato il Signor Lincoln, signor Charlesworth,» disse la voce femminile.

«Sì, signora Green. E Noi Sistemeremo anche Lei.»

Mundin pensava, confusamente, che avrebbe dovuto essere più prudente nel riporre le pillole di yen di Ryan... era stato uno stupido a lasciarle insieme alle sue pillole di vitamine... e disse, debolmente:

«Siete davvero così vecchi?»

«Siamo così vecchi, signora Green?» domandò la voce maschile.

«Se lo siamo!» gridò la voce femminile. «Glielo dica! Gli dica della ragazza

«Forse non ora, signora Green, Forse più tardi. Quando li avremo ammorbiditi un po'. Ora lei deve andare, signor Mundin.»

Mundin, automaticamente, raccolse il soprabito, e aiutò Norma a rialzarsi. Si voltò, stordito, verso la porta. Si fermò a metà, fissando gli armadietti di vetro smerigliato. Vetro, pensò. Vetro, e due cadaveri tremanti, che non si muovevano, chiusi là dentro, due cadaveri viventi che anche un soffio d'aria avrebbe potuto...

«Ci provi, Mundin,» lo sfidò la voce. «Volevamo proprio vedere se lei ci avrebbe provato.»

Mundin rifletté, e decise di non provarci.

«Peccato,» disse la voce di Charlesworth. «Noi la odiamo, Mundin. Lei ha detto che noi non siamo Dio Onnipotente.»

«Ateo!» sibilò la voce della signora Green.

 

CAPITOLO XXII

 

Di ritorno nell'ufficio di Ryan, Mundin disse, mentendo:

«Non è stato poi così brutto.»

Ryan aveva approfittato della loro assenza per riempirsi di droga fino alle orecchie. Disse, in tono sognante:

«Pensate a quei due. Vecchi di centinaia d'anni. Sapete che cosa ha scritto H.G. Wells, verso il 1940? 'Una spaventosa stranezza sta venendo alla luce'. Nulla andava nella maniera giusta, malgrado tutti gli sforzi, qualunque cosa si fosse tentato di fare. Green, Charlesworth devono essere entrati in piena azione circa in quel periodo. Sapete come chiamava Green, Charlesworth Jonathan Swift? Struldbrugs. Solo che in quel tempo la gente li teneva d'occhio. Gulliver diceva che essi avevano una legge, secondo la quale nessun Struldbrug poteva conservare il suo denaro, dopo i cent'anni. Pensate a loro. Vecchi di centinaia e centinaia d'anni, centinaia e centinaia e cent...»

Don Lavin gli toccò la spalla, ed egli si fermò. Harry Coett stava sorridendo affabilmente al suo dito pollice. Trasalì, e disse, gentilmente:

«Non si potrebbe bere qualcosa?»

Mundin gli versò da bere, fingendo di non accorgersi che il grand'uomo stava piangendo.

«Dobbiamo procedere a una normale liquidazione,» disse Nelson, i cui occhi vagavano da un punto all'altro della stanza. «Naturalmente, ogni ulteriore azione ispirata alla nostra precedente linea di condotta è da escludere nella maniera più assoluta.»

Norma apparve sulla porta. Mundin l'aveva lasciata con l'infermiera nello studio; evidentemente, la ragazza si era completamente ripresa dalle emozioni dello sconvolgente incontro.

«È già stato chiarito tutto?» domandò lei, con aria cupa.

Mundin disse:

«Apparentemente, sono tutti d'accordo.» Si sentiva appesantito, schiacciato, da una terribile apatia. Green, Charlesworth. Essi parlavano, e i Titani si distendevano in attesa della morte. Quattro uomini che, insieme, assommavano otto volte la sua età, e trenta volte la sua esperienza... no, non poteva farci niente.

«Una normale liquidazione,» assentì Nelson. «Dobbiamo accettare la sconfitta. Naturalmente. In queste circostanze...»

Norma lo interruppe:

«Vuole ritirarsi?»

Coett si passò una mano sul mento.

«Perché, ci sono forse dei dubbi?» domandò.

«Vuole dire che lei si ritira. D'accordo. E chi altri?»

Nelson disse, rigidamente:

«Norma, è impazzita, per caso?»

«Forse,» disse lei. «Sì, forse sono impazzita. Me lo dica lei. Io le dirò quello che penso, e lei mi farà sapere se sono impazzita. Io penso che Green, Charlesworth sono una coppia di vecchi imbecilli. Non so se essi abbiano vissuto per cento anni, o per mille anni. Non mi interessa saperlo. Suppongo che non esista alcun motivo per cui un essere umano non possa vivere per moltissimo tempo, se ha molto denaro da spendere in medicine e in ricerche mediche; e suppongo che un essere umano che paghi i dottori per mantenerlo in vita, a qualunque costo, abbia moltissime possibilità di accumulare del denaro... Non mi interessa saperlo. Non ha importanza. Quei due sono esseri umani. Io li ho visti, e, credetemi, sono umani... vecchi; deboli; quasi pazzi. Ho detto 'quasi', nella migliore delle ipotesi. E cos'hanno?»

Ryan, annuendo nell'udire chissà quale musica interiore, sospirò:

«Denaro.» E sorrise.

«Denaro. E va bene, loro hanno del denaro. Come ha già detto Mundin, anche noi ne abbiamo. Forse riusciranno a batterci, ma, accidenti, non riusciranno a bluffare,con noi. Io parlo a titolo personale... non nego che essi possano farmi tutto quello che vogliono, ma dovranno farmelo,prima che io mi arrenda. Chiaro?»

Mundin disse, rapidamente:

«Ci sto anch'io!»

Coett disse, in tono ragionevole:

«Arrivederci, signori.»

Si alzò in piedi, si inchinò cortesemente, e si avviò verso la porta. Norma, scossa da un improvviso tremito, disse:

«Vada all'inferno!» Gli passò davanti, rabbiosamente.

Coett si fermò, e scosse il capo.

«È pazza,» disse, con tristezza.

E un momento più tardi lei ritornò nella stanza, stringendo un piccolo vaso da fiori di stile cinese. Un paio di rose e una felce dondolavano pigramente nell'aria.

Norma lasciò cadere sul pavimento i fiori, e gridò al vaso:

«Non m'importa un accidente di sapere cosa volete farmi, Green, Charlesworth! Le case a bolla dovranno essere usate come desiderava mio padre! Se volete mettervi sulla mia strada, ve ne pentirete... come quei miei colleghi vigliacchi che non mi appoggeranno!»

Il vaso ronzò e si sbriciolò tra le sue mani. Una scheggia di vetro ferì alla guancia Norma. Tra i frammenti che caddero sul tappeto, essi videro dei pezzi di metallo e di cristallo che avvampavano, diventando incandescenti, ed evaporavano. Mundin si affrettò a spegnere una dozzina di piccoli focolai d'incendio, sul pavimento, accorgendosi, nello stesso tempo, che dagli altri uffici venivano delle grida improvvise.

Ci furono dieci minuti di pandemonio. Le cose più strane cominciarono a esplodere... una penna nel taschino di Coett, l'interruttore dell'aria condizionata della sala delle riunioni, un polarimetro in laboratorio, il cestino delle pratiche in arrivo sulla scrivania di Ryan. Ma, a parte una piccola serie di crisi isteriche tra le impiegate, non ci furono danni rilevanti. I piccoli focolai d'incendio vennero spenti facilmente.

Coett, spazzolandosi istericamente quello che rimaneva della sua giacca bruciacchiata, gridò a Norma:

«Lei e i suoi piani pazzeschi. Cambiare il progetto di noleggio ai lavoratori a contratto, eh? Noi saremmo degli schiavisti, eh? Stupida da...»

Era del tutto incoerente. Mundin e Don partirono nello stesso istante per raggiungerlo. Mundin era più vicino; toccò a lui l'onore di metterlo fuori combattimento.

Nelson si curvò, per tirare su Coett dal tappeto bruciato.

«Pensa alla pressione, Harry,» consigliò all'uomo più anziano. «Non preoccuparti. Ci penseremo noi a fare pentire questi pazzi.»

Hubble si stava mordicchiando le unghie. Disse, lentamente:

«Sapete, sono stato allevato come un giovanotto ragionevole, timorato del Dollaro, e Green, Charlesworth hanno più dollari di chiunque altro... Sapete... per l'amor di Dio, non ridete di me. Ma io rimango fino a quando mi reggono i nervi.»

Norma gli gettò le braccia al collo e lo baciò. Charles disse, «Ehi, piantatela...» e poi si fermò, rendendosi conto di non avere alcun diritto di esprimere il senso di gelosia che lo aveva improvvisamente sopraffatto. Gli altri due finanzieri parvero scandalizzati.

«Traditore,» disse Nelson, incredulo, «Be', non importa. Filate tutti da questo ufficio... branco di pazzi che non siete altro. Se avessi mai sognato...»

«E se usciste voi?» disse loro Ryan, gentilmente. «Pensateci un momento. Se ve ne andate, siete puliti... almeno sulla carta. Ma il contratto è intestato a noi; e vi prego cortesemente di filare, prima che noi chiamiamo la polizia.»

«Pensa alla pressione, Harry!» disse seccamente Nelson a Coett.

Se ne andarono, riducendo i Sette Grandi a soli Cinque Grandi... e a Norvell Bligh, che, con aria truculenta, chiese di essere arruolato.

Quando ciò gli venne accordato, egli si guardò intorno, osservò i volti cupi che lo circondavano, e scoppiò a ridere.

«Rasserenatevi, disse. «Accadono cose molto peggiori a Torcibudella.»

«Lo scopriremo, senza dubbio,» disse Mundin, depresso.

Norvell gli diede una pacca sulla spalla, amichevolmente:

«Esatto,» assentì. «Esatto, Charles; è la cosa peggiore che le può capitare. E io ci sono già stato, gente. Oh, è un inferno, senza dubbio. Ma... non è tutto un inferno, questo mondo?»

 

Norma disse, in tono supplichevole:

«Charles, lo ascolti. Ha ragione. Il mondo è in prigione, Charles, ed è stato mio padre a rinchiuderlo, tentando di trasformarlo in qualcosa di bello e piacevole. Sono quasi felice che sia morto prima di vedere con i suoi occhi quello che le sue case hanno fatto al mondo. Nerone non ha mai avuto un'arma come la casa a bolla, e neppure gli altri dittatori! E pensi a un'arma simile nelle mani di persone come la signora Green e il signor Charlesworth!»

Mundin disse, respirando un po' affannosamente.

«Devo concludere che tutto quello che lei chiede al suo avvocato è di capovolgere il mondo per lei?»

Norvie Bligh disse, seccamente:

«La pianti, Charlie!» Avanzò, quasi minacciosamente, verso l'avvocato, e lo guardò negli occhi. Poi disse, «Ho un figlio in arrivo, lo sapete tutti. Voglio che abbia una possibilità di vivere, di conoscere una vera vita... non quella che noi chiamiamo vita, e che è in realtà una schiavitù a contratto. Oh, se è il denaro che lei vuole, avremo del denaro. La G.M.L. vale un patrimonio, e, secondo me, la nostra prima mossa dovrà essere quella di impadronirci della G.M.L. Ma si tratta solo dell'inizio!»

La sua tracotante sicurezza fece nascere nella gola di Mundin qualcosa di pericolosamente simile a una risata; riuscì a soffocarla in tempo. Ma... Norvie Bligh, alto un metro e sessantacinque, e senza un centesimo in tasca, che diceva. Impadroniamoci della G.M.L... quattordici miliardi di dollari, e una nazione di risorse!

«Be', come hai detto, che cosa abbiamo da perdere? A eccezione di lei, Hubble.»

«Credo che dei soci dovrebbero darsi del tu, Mundin. Chiamami Bliss,» disse il finanziere, con un mezzo sorriso. «Tutti d'accordo?» Esitò. «Oh, accidenti,» disse, dopo un momento «Potrei anche mostrare le mie credenziali per entrare a far parte di questo splendido circolo. E sono quelle che tu hai detto, Bligh... 'Non è tutto un inferno, questo mondo?'. Una buona domanda. Voi pensate, tutti, che Torcibudella sia un inferno; be', allora dovreste trascorrere un po' di tempo alle assemblee dei consigli di amministrazione! Tu hai conosciuto mia moglie, Mundin... una bravissima donna,» si affrettò ad aggiungere, «O lo è stata una volta. Ma... la corruzione si espande. La malattia si espande. Se le cose sono brutte sul fondo, devono essere ancora più brutte in vetta.»

Scosse il capo, e guardò il tappeto bruciato, con l'aria di un animale in trappola.

«Be', vedete... per tutta la vita, io ho cercato qualcosa, ho tentato di fare qualcosa, ho tentato di prendere il potere da qualche parte, per cambiare le cose... non sapevo come. E non lo so neppure adesso, ma forse voi lo sapete. In ogni modo, vi aiuterò a tentare.»

Norma, che aveva abbandonato il suo atteggiamento abituale, e appariva colpita, gli disse, gentilmente;

«E nemmeno tutto quel denaro ti serve di aiuto?»

Hubble scoppiò in una risata amara.

«E sei proprio tu a farmi questa domanda! Buona davvero. Tu hai più denaro di quanto io ne possa vedere in tutta la mia vita, denaro pulito, tranquillo, senza nessun vincolo. Vendi le tue azioni al Grande Quadro, se vuoi scoprirlo tu stessa.» Scosse il capo, e disse, bruscamente. «Oh, all'inferno. E adesso, che cosa facciamo?»

Mundin, guardandosi intorno, scoprì, sbalordito, che tutti stavano guardando lui. E poi scoprì il perché... Norma stava guardando lui; e Don stava guardando dove guardava Norma; e gli altri seguivano i Lavin.

Si schiarì la gola; e poi udì, con la sua mente, quello che le sue orecchie avevano sentito un momento prima.

«Il Grande Quadro!» esclamò.

Tutti lo guardarono.

«Non capite?» domandò. «Il Grande Quadro, quello che ha detto Hubble. Se riusciamo a... e questo cos'è?»

'Questo' era una nota cristallina, squillante, che era venuta improvvisamente dal nulla. Tutti sollevarono lo sguardo; Don Lavin si riscosse e si alzò in piedi, guardandosi intorno. Poi cominciò a camminare verso la porta; Mundin disse:

«Ehi, aspetta un momento! Dove vai?»

Don, senza voltarsi, gli rispose qualcosa, che pareva 'filo sospeso'; ma Mundin non riuscì a capire bene. Perché in quel preciso momento si verificò un'altra piccola esplosione nella stanza... la base di una lampada che si trovava vicino alla poltrona sulla quale era stato seduto Don... e così Mundin si ritrovò con un altro paio di piccoli incendi da spegnere.

Ma, come prima, non ci furono danni rilevanti.

«Spero che non ci siano altre bombe a tempo,» commentò Mundin. «Be', cosa stavamo dicendo?»

«Avevi cominciato a dirci quello che avremmo dovuto fare,» lo informò Norvie Bligh, sempre servizievole.

«Be', non esattamente. Stavo dicendo che forse non siamo ancora sconfitti. Abbiamo delle risorse. Per prima cosa, siamo debitori di una certa somma... circa un milione di dollari, penso; quando si arriva a un simile volume di contabilità rossa, si è una ditta importante. Secondo, la nostra campagna contro la G.M.L. non si arresterà solo perché un paio di soci hanno abbandonato l'impresa. Abbiamo messo in moto un meccanismo irreversibile. Certo, sarà diffuso l'allarme, e non potremo più giocare sull'equivoco, come Norvie ha fatto con Candella e con Arnie... ma qualunque cosa facciamo, saranno nei guai, per un po' di tempo. E noi controlliamo le comunicazioni di massa, grazie a Bliss. Terzo, e più importante, noi abbiamo la carta vincente... Don e le sue azioni. Dov'è andato Don, a proposito?»

«È uscito, un attimo prima che scoppiasse quella lampada,» disse Norvie, inquieto, «Mi è sembrato che dicesse qualcosa a proposito di 'filo sospeso', ma spero di avere capito male.»

«Ho capito anch'io così,» disse Mundin. «Strano. Scusatemi.» Chiamò la segretaria, nella reception, attraverso l'intercom. Ascoltò per un momento, poi posò lentamente il ricevitore. «Dicono che è uscito. Gli hanno chiesto quando sarebbe ritornato, e lui ha risposto che non sarebbe ritornato. Ha detto che andava allo Stadio.»

Ci fu un cupo silenzio.

«C'è qualcuno, per caso, che sappia cosa significa 'filo sospeso'?» domandò Hubble. «Potrebbe esserci una spiegazione semplicissima...»

Norvie Bligh disse, debolmente:

«Io so molte cose, sul lavoro al filo sospeso. È il numero più pericoloso della Giornata dei Giochi.» Tossicchiò. «Forse è un po' tardi, per dirlo. Ma, Charles, non hai avuto l'impressione che gli occhi di Don scintillassero

Norma e Mundin balzarono in piedi, contemporaneamente.

«Il professore!» gridò Norma.

«Il professore.» ripeté Mundin. «Lui aveva detto che forse non era stato eliminato tutto il condizionamento. Che poteva esserci qualche comando post-ipnotico, piantato profondamente nel cervello, e lasciato là...»

Ping.

Una risatina rauca riempì la stanza. Due voci salmodiarono:

«Assolutamente, signor Charlesworth?»

«Positivamente, signora Green!»

 

CAPITOLO XXIII

 

Cercarono per tutta la notte, affannosamente, e all'alba trovarono il tassista che volevano.

«Certo, signore, il ragazzo condizionato? L'ho accompagnato io. Proprio all'entrata degli artisti, allo Stadio di Monmouth. È un suo amico? Una specie di scommessa, magari?»

Cercarono di entrare nell'arena, aprendosi la strada a suon di banconote, e quasi ci riuscirono. Il furtivo custode stava per bersi la loro storia e intascare il loro denaro quando il Custode Ispettore Notturno apparve. Era un giovane. I suoi occhi scintillavano.

Disse, educatamente;

«Mi dispiace, gente. L'accesso è proibito alle persone non autorizzate. Comunque, la vendita dei biglietti per i posti in piedi comincia tra un paio d'ore, così... Oh, salve, signor Bligh. È un pezzo che non la si vede da queste parti.»

«Salve, Barnes,» disse Norvie. «Senti, non potresti farci entrare in qualche modo? C'è un nostro amico, un ragazzo stupido che si è fatto scritturare per una scommessa. È tutto uno stupido errore, e lui non era in sé.»

Il gigante sospirò, con visibile rammarico.

«L'accesso è proibito alle persone non autorizzate. Se lei avesse un lasciapassare...»

Il tassista disse:

«A me non importa di aspettare, gente, ma voi non avete niente di meglio da fare che discutere con un condizionato?»

«Ha ragione,» disse Norvie. «Proviamo con Candella. Era il mio capo, quel figlio di puttana.»

Il tassì li portò nella città a bolla della Generale Ricreativa & Educativa, fino alla specialissima cupola di Candella. Ryan sonnecchiava. Norma e Mundin si tenevano per mano... spaventati, senza alcun sottofondo erotico. Bligh pareva teso per l'interesse, come un cane da caccia. Hubble, curvo su di un seggiolino ribaltabile, borbottava tra sé.

Candella si svegliò e apparve allo schermo di comunicazione dopo cinque minuti buoni di attesa e di suonate al campanello. Evidentemente, non poteva credere ai suoi occhi.

«Bligh?» balbettò. «Bligh?» Questa volta, notò Bligh, il suo atteggiamento era cambiato. Non pensava più che Norvell Bligh rappresentasse la G.M.L. L'allarme era stato dato. Come avevano sospettato.

«Sì, signor Candella. Mi dispiace davvero di averla svegliata, ma si tratta di una cosa urgente. Possiamo entrare?»

«Certamente no!» Il comunicatore si spense. Norvell premette di nuovo il campanello, e Candella riapparve. «Maledizione, Bligh, lei deve essere ubriaco! Se ne vada, o chiamo la polizia!»

Mundin scansò Bligh dal campo visivo del comunicatore.

«Signor Candella...» esordì, usando il suo tono classico con il quale intimidiva i testimoni della parte avversa. «Io sono Charles Mundin, avvocato. Rappresento il signor Donald Lavin. Ho motivo di credere che il signor Lavin si sia fatto scritturare, e ora si trovi nei quartieri degli artisti dello Stadio di Monmouth, pronto ad apparire nella Giornata dei Giochi di domani... cioè, di oggi. L'avviso che il mio cliente non è mentalmente in grado d'intendere e volere, e quindi non può firmare contratti, e la vostra società si troverebbe a dover far fronte ai danni morali e materiali, se gli accadesse qualcosa. Le suggerisco di risolvere in via amichevole questo increscioso contrattempo, firmando i documenti necessari per annullare il contratto che la società ha stipulato con lui. Naturalmente, siamo disposti a pagare qualsiasi indennizzo, o penale, che possa essere richiesta.» Abbassò la voce. «In banconote di piccolo taglio. In abbondanza.»

«Entrate,» disse Candella, con calma.

La porta si aprì. Quando entrarono, egli balbettò:

«Mio Dio, un esercito!»

 

L'intercom della casa disse, con voce femminile.

«Cosa succede, tesoruccio bello?»

Candella arrossì, e disse:

«Affari. Spegni, per favore, Donna-Pantera. Voglio dire, Prudence.» Ci fu una risatina, e poi uno scatto. «E ora, signori e signorina... no, non m'importa sapere i vostri nomi... permettetemi di mostrarvi uno dei nostri soliti moduli di contratto. Ecco, lei che dice di essere un avvocato, dia pure un'occhiata.»

Mundin lo studiò per dieci minuti. Corazzato? Impermeabile? No. Rivestito di tungsteno, rinforzato, puntellato, inchiodato, saldato, e lucidato a fuoco. A tenuta stagna, a tenuta di vuoto, garantito indenne da ogni screpolatura, fessura, intaccatura, che potesse consentire un attacco legale anche a una sola delle sue clausole.

Candella si stava godendo l'espressione di Mundin, mentre l'avvocato leggeva e rileggeva il contratto.

«Pensa di essere il primo?» sogghignò. «Se ce n'è stato uno, ce ne sono stati diecimila. E ognuno che, all'inizio, è riuscito a ottenere qualcosa, ha permesso una ristesura del contratto, per prevenire qualsiasi casistica contraria. Ma non c'è stata una sola causa perduta, da parte nostra, negli ultimi trent'anni, signor avvocato.»

Mundin lo supplicò:

«All'inferno la legge, signor Candella. All'inferno anche il denaro, se lei non lo vuole. Pensi al ragazzo. È una questione di umanità. Il ragazzo non ha niente a che fare con quello che succede là dentro...»

Candella assunse un atteggiamento incorruttibile.

«Io proteggo la mia società e i suoi azionisti, signor comesichiama. È una regola ferrea, alla quale non possiamo ammettere alcuna eccezione. Le nostre Giornate dei Giochi si trasformerebbero in un caos, se ogni stupido ubriacone...»

Mundin stava per saltargli addosso, quando Norvell, inaspettatamente, lo prese per il braccio.

«È inutile,» disse l'ometto. «Non l'avevo mai capito prima, Charles. È un sadico. Naturalmente. Chi altri potrebbe fare questo lavoro, e godersela un mondo? Tu interferisci nella sua vita sessuale, quando cerchi di strappargli una delle sue vittime. Dovremo tentare più in alto.»

Candella sbuffò, e indicò loro ostentatamente la porta.

Di nuovo sul tassì, Mundin disse, pensieroso:

«Potremmo citarli per danni, naturalmente. Ma a loro questo non importa. Bliss, credo che adesso tocchi a te.»

Il finanziere diede un'occhiata a un'agenda, e allungò la mano verso il telefono del tassì, mentre ritornavano verso lo Stadio. Disse, seccamente:

«Sam? Parla il signor Hubble. Buongiorno anche a te,Sam. Chi sono gli amministratori della Generale Ricreativa... la società che organizza le Giornate dei Giochi di Monmouth? Sì, aspetto.» Aspettò, e poi disse, «Oh. Grazie, Sam.» Riappese, e disse loro, guardando fuori del finestrino. «Le azioni sono amministrate fiduciariamente da uno studio legale. Si tratta dello studio Choate. E noi sappiamo bene per chi lavorano quelli dello studio Choate, vero?»

Cominciò a tamburellare con le dita sul bracciolo del sedile, e disse:

«Bligh, tu devi conoscere un modo per entrare. Dopotutto, era il tuo lavoro, no?»

Norvell disse:

«L'unico modo è firmare un contratto.»

Norma disse, in tono isterico:

«E allora, firmiamo un contratto.» Tutti trasalirono. «No, non sono pazza. Noi vogliamo trovare Don, vero? E quando lo avremo trovato, gli impediremo di commettere delle sciocchezze... usando un bastone, se sarà necessario. Possiamo farci scritturare come comparse, o qualcosa del genere... non è vero, Norvie? Qualcosa che non sia troppo pericoloso. Sono tutti volontari, no?»

Norvell deglutì, e disse;

«Ricordatevi che io non ero uno dei direttori delle 'fosse'. Io mi occupavo dell'organizzazione e dei programmi. E, dal mio punto di osservazione, in teoria tutto il lavoro avrebbe dovuto essere volontario, certo.» Pareva sconvolto; ma disse, illuminandosi in viso. «Forse non è una cattiva idea. Sapete cosa vi dico? Andrò da solo. Io conosco l'ambiente, e...»

«Un accidente,» disse Mundin, seccamente. «Lui non vorrà farsi trovare, penso. Resisterà. Andrò io.»

Ci vollero andare tutti, perfino Hubble e il vecchio Ryan. E poi Norvell ebbe un'idea brillante, e ci vollero molte banconote per convincere il tassista a condurli a Torcibudella, e un'ora per trovare Lana dei Coniglietti.

«Ci saremo,» promise lei, cupamente.

 

L'atrio di raduno, sotto le tribune, era un salone immenso e affollato. Un quarto circa dei suoi occupanti erano dei poveri disperati, visibilmente, un altro quarto professionisti, un altro quarto dei giovani incoscienti che cercavano un'emozione da ricordare per tutta la vita, e da vantare all'infinito con gli amici ammirati e attoniti. Gli altri sembravano... be', gente qualunque. Erano le dodici e mezzo e tutti avevano ricevuto un pranzo caldo, abbondante ed eccellente, al ristorante dello Stadio. Un professionista aveva notato che Mundin stava divorando voracemente il cibo, e gli aveva detto, in tono noncurante;

«Meglio di no, straniero. Pensa alle ferite alla pancia.» E Mundin aveva smesso di mangiare, bruscamente, improvvisamente pensieroso.

Finora non avevano visto alcuna traccia di Don Lavin; ma questo non era strano. Non era certo difficile far perdere le proprie tracce in quella folla, anche se non si tentava di nascondersi. E Don, obbedendo al comando ipnotico piantato saldamente nei suoi circuiti cerebrali, certamente tentava di passare inosservato. Avevano cercato, senza lesinare gli sforzi; ma era stato inutile. Così, quando il tempo cominciò a farsi breve, si radunarono tutti, e si guardarono con aria interrogativa; ma nessuno aveva visto Don.

«I Coniglietti,» disse Norvie, speranzoso. «Lo vedranno, dalle tribune, e ci faranno un segnale. Allora...»

Allora, forse, sarebbe stato troppo tardi. La faccenda dipendeva dalla rapidità con la quale lo avrebbero trovato, rapidità che avrebbe permesso di entrare nello stesso numero; e di questo non potevano esserne sicuri. Era stato faticosissimo convincere anche i Coniglietti a rimanere in tribuna; Lana aveva voluto farsi scritturare per il numero dei Giovani Massacratori, fino a quando Norvell non aveva minacciato di lasciarla completamente fuori, sapendo che si trattava di un numero nel quale Don sicuramente non sarebbe entrato.

Mundin sollevò lo sguardo, bruscamente. Norvell stava dicendo, freddamente:

«Fila, accidenti! Credevo che avessi imparato la lezione, quando ti ho colpito con quel tubo!»

Un uomo brutto e gigantesco stava indietreggiando, davanti al piccolo e coraggioso Norvie.

«No, no,» disse, in tono supplichevole. «Shep l'aveva meritato, non avrebbe dovuto fare lo stupido con... Non importa. Shep è pentito. Maledetto, maledetto debito d'onore. Shep ha un debito, Shep deve pagare. Voglio aiutarti. Sono qui per questo. Devo pagare il debito!»

Mundin si rivolse a Norvell:

«E questo, da dove diavolo viene?»

Norvell disse, in tono lugubre:

«Quella dannatissima Lana. Lo ha portato lei. Era una specie di guardia del corpo, fino a quando io... l'ho licenziato. Un'idea di mia moglie.»

Mundin disse:

«Un uomo in più ci potrebbe essere utile.»

Norvell si strinse nelle spalle. Disse soltanto:

«Fa' attenzione.»

Il gigante si rivolse a Norvell, con aria riconoscente, e Mundin continuò a cercare intorno, pensieroso.

Qualcuno, da un palchetto che era stato sistemato da alcuni inservienti, disse:

«Posso avere la vostra attenzione, prego? Volete chiudere il becco, accidenti a voi, prego? Voialtri chiacchieroni in quell'angolo, sto parlando anche per voi. Silenzio, bastardi. Grazie a tutti.» Era un giovane dall'aria allucinata, che si passava nervosamente le mani tra i capelli.

Norvell si rivolse a Mundin, e gli mormorò:

«Willkie. Entro stasera, avrà l'esaurimento nervoso. Gli succede tutti gli anni. Ma...» continuò, con una certa nostalgia, «Ma è un buon Maestro di Scena.»

Willkie continuò, seccamente:

«Sapete tutti che questo è lo spettacolo dell'anno, il più importante di tutti, signore e signori. Doppia paga, per questo, e assicurazione anche per i superstiti. E in cambio, signore e signori, ci aspettamo che voi diate il vostro meglio per lo Stadio, accidenti a voi.»

Parve valutare la folla.

«E ora, cominciamo a distribuire i numeri. Prima di tutto, un numero comico. Abbiamo bisogno di alcuni signori e signore anziani... niente di violento; bastoni imbottiti in una battaglia campale nel finale. L'ultima signora sopravvissuta avrà un premio di cinquecento dollari; l'ultimo signore sopravvissuto avrà un premio di mille dollari. Vediamo, chi alza la mano? No, tu no, bello... non hai nemmeno sessant'anni, ci scommetto!»

«Vada lei,» disse Bligh a Ryan. «Vada con loro, e tenga gli occhi aperti, se per caso vedesse Don.»

Ryan ebbe il cenno di assenso del Maestro di Scena, e si allontanò con gli altri signori e signore anziani.

«E adesso, ci sono due uomini in gamba, che pensano di essere capaci di improvvisare una buona lotta col coltello? Stile scandinavo? Dovrete combattere nudi, così non fatemi perdere tempo se avete il pancione.» Stile scandinavo significava essere legati assieme con una cintura che lasciava un gioco di sessanta centimetri. «Mille? Nessuno per mille? Va bene, accidenti, farò milleduecento, e se non sento un'ovazione, adesso, aboliremo il numero, maledetti vigliacchi!» Una dozzina di professionisti si alzò, sogghignando. «Ottima risposta! Così, faremo sei lotte contemporaneamente. Portateli via, ragazzi.»

La distribuzione delle parti continuò. L'Inferno di Spillane; Tigri, Leoni e Orsi; la Danza all'Acido Solforico. Lana, dalla tribuna, lanciò un'occhiata disperata a Mundin; nessuna traccia di Don Lavin... ma la folla si stava diradando.

«Deve esserci sfuggito,» gemette Hubble.

«Derby sui Pattini a Rotelle!» chiamò Willkie. «Gomiti con aculei d'acciaio, niente armatura. Cinquecento al punto ai partecipanti. Venti al pubblico, cento se un partecipante vi cade addosso e vi ferisce.»

Norvell incontrò lo sguardo di Mundin, Norma, Hubble; Shep si accodò a loro, quando si alzarono, e furono accettati come 'pubblico' e trascinati fuori dal salone, mentre ancora si guardavano intorno, inutilmente, alla ricerca di Don.

E poi, naturalmente, lo videro... solo un attimo dopo che la porta di vetro si fu chiusa irrevocabilmente dietro di loro. Si stava alzando... con gli occhi scintillanti... per il Numero sul Filo Sospeso con i Piranha. Premio, diecimila dollari.

Ed era l'unico volontario, perfino con quel premio incredibile.

Norma lottò con la porta che non si spostava di un millimetro, fino a quando due matrone non vennero a prenderla, e la trascinarono verso la sala di preparazione.

«Penserò a qualcosa,» continuava a dire Norvie. «Penserò io a qualcosa.»

 

CAPITOLO XXIV

 

Norvell tentò un amichevole approccio con il direttore della sala di preparazione. Venne respinto brutalmente. Norvell tentò le implorazioni, e poi le minacce. Fu respinto. Il direttore della sala di preparazione gli urlò:

«L'hai voluto tu, e adesso restaci. All'improvviso tu e i tuoi amici ve la fate sotto ma a me non me ne frega niente. Vi siete offerti per fare il pubblico del Derby e farete il pubblico del Derby, chiaro?»

«Cosa succede, Kemp?» domandò improvvisamente una voce presuntuosa e familiare.

Era Stimmens, che stava procedendo altezzosamente nelle 'fosse' come Dante attraverso i gironi dell'Inferno. L'ex-assistente di Norvie, quel Giuda di ex-assistente di Norvie che aveva, silenziosamente e completamente, tradito il suo principale, mandandolo a Torcibudella.

Sarebbe stato delizioso saltargli addosso e pestarlo a sangue, ma la posta in gioco era troppo alta.

«Signor Stimmens,» disse Norvell, umilmente.

«Ma come, signor Bl... ma come, Norvie! Cosa diavolo stai facendo qui?»

Norvie, con aria abbrutita, si pulì il naso nella manica.

«Cerco di guadagnare qualche dollaro, signor Stimmens,» gemette. «Lei sa come vanno le cose a Torcibudella. Mi sono offerto per il pubblico del Derby, ma... ma il signor Kemp, qui, dice che ho paura. Forse è così, ma voglio cambiare numero. Dal pubblico del Derby al Filo Sospeso, per fare il Disturbatore. Lo so che sono solo dieci dollari, ma almeno non si riceve sulla pancia il gomito di una di quelle ragazze con gli aculei. Può farlo per me, signor Stimmens? E per un paio di miei amici?»

Stimmens esitò.

«È molto insolito, Norvie. Crea confusione. Provoca dei guai.»

Norvell sapeva quello che Stimmens stava aspettando.

«La pregosupplicò, e si mise a piangere.

Stimmens disse, in tono di grande accondiscendenza:

«Be', forse possiamo fare un piccolo strappo alle regole, per un ex-dipendente della società, eh, Kemp? Vedi di farlo trasferire.»

«E anche i miei amici, la prego, signor Stimmens!»

Stimmens si strinse nelle spalle.

«E anche i suoi amici, Kemp.» E se ne andò soddisfatto, raggiante per avere fatto una buona azione che aveva umiliato il suo ex-capo e, personalmente, non gli era costata nulla.

«Lo hai sentito,» ordinò Norvell, seccamente. «Trasferiscici!»

Kemp grugnì, e andò in cerca delle loro schede.

Tornato sulla panca, Norvell disse agli altri, succintamente:

«È fatta. Così le sue possibilità di sopravvivenza aumentano notevolmente. Potremmo addirittura tentare di pescarlo, se per caso...»

«No,» disse Shep. «Scusami, ma è no. Però ho un'idea. Qualcuno di voi ha del denaro... un bel po' di denaro? Passatene un po' ai Disturbatori, quando saremo là. In modo che facciano silenzio.»

«Altrimenti, ci penseremo noi,» assentì Norvell, dopo un istante di perplessità e di risentimento. «D'accordo, Shep. Se rimangono tranquilli avranno i soldi, se disturbano, nell'acqua con i piranha. Hubble, tu hai del denaro?»

Hubble aveva del denaro con sé. Poi non ci fu altro da fare che guardare attraverso le pareti di vetro. Norvell, senza parere, indicò con la mano i Coniglietti, che si erano sparsi nelle posizioni strategiche... erano tutti ai bordi dell'arena, nelle prime file. Chissà come era riuscita, Lana, a conquistare quei posti. Ma i Coniglietti erano in gamba.

«Delle fionde,» bisbigliò. «Lo ha promesso. L'idea era quella di mettere fuori combattimento i disturbatori, in caso di necessità.»

La Battaglia Campale dei vecchioni era già in corso. Videro Ryan colpito dalla crudele bastonata di una ottuagenaria. I bastoni erano imbottiti, ma a saperli usare bene erano molto pericolosi. Egli venne trasportato, gemente, all'infermeria. Mundin e Norma si guardarono con occhi stanchi; non c'era tempo per la compassione, purtroppo.

Era un pubblico caldo e attento, notò Norvell con una cupa scintilla d'interesse puramente tecnico: rideva, gridava, ululava, e gettava oggetti al momento giusto. Sentì la familiare cantilena dei venditori, «Sassi, mattoni, non potre-e-ete colpire gli artisti senza un mattone...»

Sarebbe stato un ottimo spettacolo, malgrado tutto, anche se loro avrebbero dovuto rovinare un poco il numero culminante. Norvell rabbrividì, e cercò di distogliere la propria mente da quel numero. Guardò gli altri. Si sentiva stranamente sveglio e attento, come se fosse stato pronto a qualcosa di grande e nuovo...

Ma non era contento, non esattamente. Perché sapeva quello che, probabilmente, avrebbe dovuto fare.

 

Clic, clic, e i lottatori di coltello alla scandinava incominciarono, e snip, snip, i coltelli lampeggiavano e il sangue scorreva; ci furono due doppie uccisioni, sulle sei coppie, e la banda suonò pezzi che andavano da Grieg a Gershwin per annunciare il Derby, che sarebbe durato dieci minuti buoni...

Fu sanguinoso. Più e più volte i pattinatori sfrecciarono via dalle piste sul 'pubblico', formato di vecchi disperati o di cercatori di emozioni, piuttosto che ricevere in corpo il gomito acuminato e tagliente come un rasoio di un altro concorrente, e ogni volta gli aculei straziavano le carni e facevano sprizzare sangue. Per poco non è toccato a noi, pensò Norvell, stordito. A cento dollari a colpo, per poco non è toccato a noi.

Per la prima volta in vita sua, Norvie si domandò quando e dove tutto ciò fosse incominciato. Forse col terribile Rugby spaccaossa, o con lo spietato, violentissimo Hockey? Con le folle impazienti, sui marciapiedi, che ruggivano 'Buttati!' a qualche povero disgraziato che stava su un cornicione? O con quei teppisti che si auto definivano tifosi, e che avevano l'abitudine di accogliere le squadre ospiti con mortaretti e bengala, e di lanciare pietre e altri oggetti in campo quando gli avversari andavano in vantaggio? Con i miti guerreschi, come 'Noi di questo plotone, ragazzo, non facciamo prigionieri?' Con le bombe al fosforo? Con Buchenwald? Con le bombe al Napalm?

E, poi, prima che lui avesse potuto trovare la risposta, Kemp gli arrivò vicino, gli afferrò la spalla, cominciò a scuoterlo.

«Bene, fifone. Tu e i tuoi amici, fuori. Prendete i vostri cesti.»

Confusamente, Norvell prese il cesto, e guardò all'interno gli strumenti per fare rumore e i 'sassi'... alcuni dei quali erano rocce di dieci, quindici centimetri di diametro. Seguì il gruppo, mentre si dirigeva nel campo. Si rese conto che Hubble e Mundin lo stavano praticamente trascinando di peso. Shep lo fissava, a occhi spalancati.

«Non svenire adesso, accidenti,» lo implorò Mundin. «Abbiamo bisogno di tutti, Norvie!»

Rivolse a Mundin un pallido sorriso, e pensò, Forse non dovrò farlo, forse non sarà necessario. Devo aggrapparmi solo a questo. Forse non sarà necessario. Ma se dovessi...

«Signore e signori,» ruggì il Maestro di Scena, mentre essi prendevano il loro posto intorno alla vasca, e mentre gli operai stavano rizzando rapidamente le due torri, e tendevano la corda. «Signore e signori, lo Stadio di Monmouth è orgoglioso e felice di presentarvi per la prima volta nella già gloriosa storia di questa arena un nuovo e appassionante spettacolo di coraggio e di destrezza. Questo giovane...»

Don era stato issato in cima a una delle torri. Norma stava piangendo, in maniera incontrollabile. Hubble e Mundin stavano passando tra i disturbatori, distribuendo banconote, seguiti dalla gigantesca figura minacciosa di Shep.

«Nessuno deve disturbare, capito? State zitti e calmi. Ho detto, nessuno deve disturbare. Zitti. Riceverete altrettanto, quando tutto sarà finito, e anche di più... se il ragazzo ce la fa. Chiunque tenterà di fregarci lo getteremo ai pesci. Capito? Ne va della vostra vita. Nessun disturbo, chiaro?»

«... questo giovane, senza alcuna precedente esperienza nell'arte ginnica, tenterà di attraversare i quattro metri e mezzo di corda tra una torre e l'altra, contro la simultanea opposizione di questi energici disturbatori. Essi potranno gridare, minacciare, suonare trombe e sonagli, e gettare dei sassi, ma non potranno scuotere le torri...»

Identificazione del pubblico, pensò Norvie. I sedici 'oppositori' sarebbero stati là per fare esattamente quello che il pubblico voleva fare, ma che era troppo lontano per fare. Eppure, un buon braccio robusto, con vento favorevole e un mattone... o una fionda, se qualcuno, oltre ai Coniglietti, era riuscito a nasconderne una sul proprio corpo...

«La sensazionale particolarità di questo spettacolo, signore e signori, sta nella vasca che si trova sotto la corda che questo giovane spericolato tenterà di attraversare. Con un'enorme spesa, lo Stadio di Monmouth ha importato dal loro quartier generale del Rio delle Amazzoni, nel lontano Sud America, centinaia dei più terribili uccisori, dei più feroci e crudeli pesci noti all'uomo, gli spaventosi piranha! Puntate i vostri binocoli, signore e signori! Non perdete un solo secondo di questo sensazionale spettacolo! Sto per gettare nella vasca una pecora di venticinque chili, viva, e vedrete voi stessi quali saranno i risultati!»

L'animale belante e terrorizzato venne calato con una fune... rasato, e con alcune ferite nel fianco, perché i pesci potessero sentire il sapore del sangue. Poi tirarono su la fune, e dall'acqua uscirono... delle ossa insanguinate. C'erano ancora delle piccole, orribili cose che si dibattevano rabbiosamente, appese allo scheletro. Gli inservienti le ributtarono nell'acqua, servendosi di lunghi bastoni, mentre la folla urlava deliziata.

Proprio come voi, bastardi, pensò Norvell. Ma forse non ci sarà bisogno che lo faccia...

Shep lo stava guardando di nuovo, con aria curiosa, e Norvell si allontanò un poco, istintivamente. Si voltò a guardare le torri, e poi Don Lavin, che aspettava il segnale, immobile, calmissimo... almeno, esteriormente calmissimo... malgrado la vista dello spettacolo della pecora. Ventidue anni, pensò Norvell. Forse, un momento di passione distratta, tra le ore trascorse al tavolo da disegno e l'assemblea del consiglio di amministrazione, e Don era stato concepito. Nove mesi di nausea e di dolori e di fatica e d'impaccio, culminati in ore di sofferenza atroce, e lui era nato. Poi era stato nutrito. Poi gli avevano cambiato i pannolini. E lo avevano amato, e vezzeggiato, e avevano fatto chissà quali sogni su di lui; avevano progettato per lui le grandi, splendide cose che lui avrebbe fatto. E il feto diventa un neonato, e il neonato un bambino, e il bambino un uomo.

E l'uomo? Là, in quel momento... diventava un frammento di ossa insanguinate, a meno che qualcuno non avesse rispettato la legge del taglione, non avesse pagato un prezzo mosaico. Ma forse non dovrò farlo, si disse Norvell, con il coraggio della disperazione.

Il suo apparecchio acustico si era un po' spostato. Si guardò intorno, sempre furtivamente, e si preparò a riaccomodarlo. Poi non lo riaccomodò.

Perché non ne aveva bisogno.

La folla urlante, le parole volgari e violente del Maestro di Scena, il debole cigolare nel vento delle torri, perfino... tutti questi rumori giungevano alle sue orecchie.

Lui sentiva.

Per un momento, ne rimase quasi inorridito. Era la decisione, si disse, senza sapere esattamente che cosa voleva dire con quella frase. Lui non aveva voluto sentire nessuna di quelle cose. Lui non aveva osato udire. Si era punito, impedendosi di udire quei suoni, finché aveva fatto parte di quella organizzazione di orrori.

Ma ora lui era cambiato.

In realtà, era mai stato sordo? si chiese. Si sentiva lo stesso uomo di sempre; con l'unica differenza che ora poteva udire; e prima era stato sordo. Si avvicinò a Norma Lavin, e le circondò con un braccio le spalle tremanti.

«Andrà tutto bene,» le disse. Lei si appoggiò a lui, muta, disperata.

«Ho un bambino in arrivo, sai,» le disse. Lei fece un cenno d'assenso distratto, con gli occhi fissi sulla torre. «E se accadesse qualcosa,» proseguì, «È giusto che qualcuno pensi a loro. Non è giusto? Sandy, Virginia e il bambino. Te ne ricorderai?» Lei annuì, ma non lo aveva sentito, in realtà. «C'è stata un'altra Giornata dei Giochi, a Bahia,» continuò Norvell, «Con un numero sul filo sospeso e vasca di piranha,proprio come questo. C'era un giudice, su una delle scalette che portavano alle torri, un po' ubriaco, credo, e lui è inciampato o qualcosa del genere...» Lei non lo ascoltava.

Allora Norvell si alzò e andò da Mundin.

«Se dovesse accadere qualcosa» disse «Mi sembra giusto che Sandy, Virginia e il bambino abbiano qualcuno che pensi a loro.»

«Che cosa?»

«Non importa, ora. Ricordalo, però.»

Shep lo stava di nuovo guardando con aria sospettosa. Norvell si allontanò.

Il tamburo rullò e il Maestro diede fuoco alla piattaforma sulla quale Don Lavin era immobile come una statua di pietra. La folla ululò, quando le fiamme si alzarono, e il ragazzo spiccò un balzo avanti, convulsamente, facendo ondeggiare la sua asta da equilibrista.

Il Maestro di Scena gridò furiosamente ai disturbatori:

«Cosa diavolo vi succede, gente? Gridate! Lanciate sassi! Per che cosa credete che vi stiamo pagando?»

Uno dei giovani cercatori di emozioni che si trovava all'estremità opposta della vasca cominciò ad agitare il suo sonaglio, lanciando un'occhiata nervosa a Shep. Hubble, accanto a lui, esclamò:

«Altri cento dollari, ragazzo. E adesso, calmati.»

Il ragazzo si calmò, e guardò in alto, spalancando gli occhi per l'ammirazione alla vista dell'equilibrista.

Trenta centimetri, cinquanta centimetri, e l'asta ondeggiava.

Aveva delle scarpe speciali, notò Norvell. Forse andrà tutto bene, forse io non dovrò fare niente. E allora potrò ritornare alla mia comoda sordità, potrò comprare nuove batterie, come atto di contrizione, potrò escludere a volontà questa nausea, questa feccia, questa gente fatta di sangue e di crudeltà... mi basterà togliermi l'apparecchio, e potrò dimenticare tutto.

Un metro, un metro e venti, e il Maestro che ululava, furibondo:

«Avanti, combattete, maledetti bastardi! Suonate le vostre trombe! Lapidatelo, accidenti a voi!»

Un metro e mezzo, due metri, e il rumoreggiare della folla era orribile, orribile, e minaccioso. In un settore dello stadio era incominciato un canto, fatto di strisciare di piedi e di battere ritmico di mani.

Due metri, due metri e dieci, e il Maestro era scoppiato in singhiozzi.

«Noi vi paghiamo per disturbare, e questo è il modo in cui ci trattate,» balbettò, tra i singhiozzi. «Tutto quel rispettabile pubblico sulle tribune. La reputazione dello Stadio. Non vi vergognate

Due metri e quaranta, due metri e settanta, tre metri. Due terzi del percorso, la seconda torre ormai vicina.

Norvell cominciò a sperare. Ma qualcuno, sugli spalti, qualcuno con il braccio robusto e il vento favorevole, aveva azzeccato la traiettoria. Il mezzo mattone, alla fine della sua traiettoria, sprofondò nella vasca, e piccole cose orribili dal ventre bianco si avventarono su di esso, ferendosi, e avventandosi poi l'una contro le altre. L'acqua ribolliva.

Improvvisamente freddo, improvvisamente sicuro, Norvie disse bruscamente a Mundin:

«Lo colpiranno tra un minuto. Preparati a tirarlo fuori, in fretta. Ricorda quello che ti ho detto.»

Si avvicinò a Willkie, che stava guardando con cupa disperazione gli ostinati disturbatori muti.

Un altro mezzo mattone. Questa volta, colpì la torre. Un grande ondeggiare dell'asta, e un grido disperato di Norma.

«Niente esaurimento nervoso quest'anno, Willkie,» disse gentilmente Norvell al Maestro.

«Che cosa? Bligh? Bligh, non mi vogliono ascoltaresinghiozzò Willkie.

Tre metri e sessanta, quasi quattro, e poi il mattone, non visto, che colpiva Don Lavin tra le spalle, facendo ondeggiare l'asta, troppo violentemente; e i disturbatori sfuggirono improvvisamente a ogni controllo, sentendo l'avvicinarsi della fine. Hubble e Mundin gridarono e urlarono e supplicarono, ma ormai tutti avevano i 'sassi' in mano, e non ascoltavano più; non erano soltanto i piranha che impazzivano, non appena fiutavano l'odore del sangue.

Norvell si guardò intorno, disperato, nell'arena. Ma non c'era niente. Non c'era una sedia, non c'era un tavolo, non c'era un cuscino, nulla che lui potesse gettare ai pesci, tranne...

«NO!» ruggì Shep, alle sue spalle, e Norvell, attonito, si girò a metà. Solo per un momento. Ma quel momento d'indugio volle dire che fu Shep, e non Norvell, ad afferrare il singhiozzante Willkie tra le braccia; che fu Shep, e non Norvell, a tuffarsi con lui nella vasca per un eterno istante. Shep... che aveva un debito d'onore che doveva saldare. Shep, che pagava i suoi debiti per continuare a vivere, anche se questo avrebbe significato morire. Shep, che non avrebbe potuto continuare a vivere, se non avesse saldato il suo debito.

Dapprima l'acqua fu fredda. Poi ribollì.

All'altra estremità della vasca, l'estremità quieta, immobile, Mundin e Hubble tirarono fuori dall'acqua Don Lavin, in un solo istante.

 

CAPITOLO XXV

 

«Volevo farlo io,» stava dicendo Norvell Bligh, con voce sconvolta. «Ero pronto a farlo. Volevo

Norma lo circondava con il braccio, amorevolmente, a bordo del tassì che li riportava a Torcibudella.

«Certo, lo so. Lo so,» cercò di blandirlo.

Mundin, che era seduto, ancora confuso e stordito, accanto a loro, cercò di riflettere, cercò di placare il tumulto che era scoppiato nel suo cervello. Norvell Bligh era un bravo ometto, pensò. Un ometto prezioso. Era stato un bene che Shep gli avesse tolto il gioco di mano. Ne avremo bisogno,pensò. Ma, naturalmente, non può ancora pensare questo. Non ancora.

Hubble stava chiacchierando, come galvanizzato.

«Una vera avventura. Ma la grande avventura sta per cominciare, vero, Mundin? Dopo i piranha, Green, Charlesworth. Ci faranno rimpiangere di non essere ancora in mezzo ai piranha, che ne dici?»

Don Lavin lo ammonì:

«Piantala e fa' silenzio.» Era accaduto qualcosa a Don Lavin. Forse aveva imparato qualcosa, sul filo sospeso, pensò Mundin. Era strano, come si poteva maturare dopo del tempo... molto, moltissimo tempo, per alcune persone.

Ricordando un particolare, prese il telefono del tassì e chiese al centralino di trovargli un numero.

Hubble, che lo ascoltava, e che non riusciva a quietarsi, disse:

«Oh, naturalmente. L'infermeria dello Stadio. Abbiamo tutti dimenticato il vecchio Ryan, eh? E avremo bisogno di lui, per la grande impresa... a proposito, Mundin, quando ci rivelerai i particolari del piano? Adesso che abbiamo di nuovo con noi Don, abbiamo le azioni. Ma non riusciremo mai a esercitare il nostro diritto di voto. Lo sapete benissimo tutti; ci bloccheranno con ingiunzioni e cavilli fino alla fine dei secoli. Suppongo...» Si interruppe, avvertito dall'espressione di Mundin, che stava lentamente riappendendo il microfono. «Ryan?» domandò Hubble, in tono completamente diverso.

Mundin annuì.

«Un'emorragìa,» disse. «È morto sul tavolo operatorio.» Sospirò.

La guerra non era mai a buon mercato, pensò. Per poco non avevano perduto Bligh... e avevano perduto Shep... e ora Ryan. Datemi un'altra di queste vittorie, e sarò rovinato, citò, tra sé, cominciando nello stesso tempo a fare dei piani per la lotta finale che Ryan aveva contribuito a preparare, e che ora non avrebbe potuto vedere.

 

«Tu penseresti che dieci ore di sonno siano sufficienti, per rimettere a nuovo una persona,» grugnì Don Lavin.

Mundin disse, preoccupato:

«La campana sta per suonare. Hai visto Norvie?» Si trovavano nei locali della Borsa di New York, in attesa dell'apertura delle contrattazioni. L'enorme salone era colmo dell'abituale folla inizialmente prudente e facilmente eccitabile... ma non si avvertiva la solita sensazione di tensione, pensò Mundin, sensibile agli umori della gente. Era una massa di speculatori molto più depressi dell'ultima volta in cui lui era stato là, gente preoccupata, timorosa e turbata. Frutto della loro campagna pubblicitaria, pensò Mundin, con un pizzico di soddisfazione. C'erano stati dei movimenti, sulle G.M.L.; nelle ultime settimane, le azioni erano calate di alcuni punti. Non molto, ma quanto bastava a scuotere, anche se lievemente, la convinzione ferrea e radicata che tutti avevano nella stabilità di quelle azioni. E se la G.M.L. non era completamente sicura e solida, si chiedevano gli investitori, quasi ad alta voce, che cosa era solido, ormai?

Videro Norvie, finalmente, che era in attesa, senza parere, contro la parete opposta. Li guardò, senza mostrare di riconoscerli, poi deliberatamente, guardò oltre. Essi seguirono il suo sguardo; e videro Hubble, allo sportello da cento dollari, intento a chiacchierare amabilmente con l'investitore che si trovava allo sportello vicino. E poi il campanello suonò, per annunciare il primo movimento della giornata.

«A lei l'onore, signore,» disse Mundin, con estrema ricercatezza, a Don Lavin. Don accolse l'invito con un ironico inchino, e allegramente preparò il suo primo ordine di 'vendita':

 

333, 100 azioni, quot. mercato

 

Il Grande Quadro ronzò e sfolgorò, e i calcolatori fecero le loro somme, le sottrazioni e le divisioni, e sputarono i risultati. Mundin e Don avevano i binocoli fissi sulla riga 333; su. di essa apparve la scritta:

 

333, calo ½

 

«Congratulazioni,» disse Mundin. «Hai appena gettato via mille dollari.»

«Il piacere è mio,» disse Don, sogghignando. «Credo che ora tocchi a te.»

Il campanello dei trenta secondi suonò, e Mundin preparò il suo ordine... cento azioni della Vecchia 333, Case G.M.L., quotazione di mercato. E le azioni G.M.L. calarono di un altro mezzo punto.

Don aveva fatto dei calcoli, con carta e matita, con aria pensierosa.

«Calcolando un movimento ogni tre minuti,» disse, «E trecento minuti utili in una giornata, al ritmo attuale faremo saltare la G.M.L. dal Grande Quadro in quaranta giorni di lavoro.» I due si strinsero gravemente la mano.

Una maestra vestita in maniera sobria e severa, che stava mostrando ai giovanissimi componenti della sua classe di educazione civica un esempio di prima classe del celebre Sistema Americano in azione, fece sfilare i bambini davanti agli sportelli ai quali erano seduti Don e Mundin. Gli investitori che si trovavano ai lati dei due cospiratori si stavano incuriosendo; quello vicino a Don si avvicinò, e bisbigliò, furtivamente:

«Ehi, amico... perché devi pagare la tassa di commissione valutaria? Se vuoi scaricare delle G.M.L., ti posso portare da un tizio che è disposto a trattare in privato, e in contanti.»

«Fila,» disse Don, e batté sui tasti il suo ordine.

 

333, ribasso ½

 

«Adagio e con sicurezza,» disse Mundin, filosoficamente.

Un ometto petulante, scortato da una guardia dall'aria truculenta, percorse il corridoio, dirigendosi verso di loro a passo di carica.

«K-81, K-82, K-83... oh, lei deve essere quello che cerchiamo,» contò. «Lei, sportello K-85. E anche lei. Conoscete la pena per la mancata presentazione di azioni vendute attraverso il totalizzatore...»

«Dia un'occhiata,» disse Mundin, mettendogli i certificati azionari tra le mani.

L'ometto diede un'occhiata, e fece una risatina contrita, debolmente:

«Oh,» disse, depresso. «Be', certo... Vieni, Haynes. Certamente quel reclamo era infondato, eh? È terribile vedere come certe storie vengono messe in giro...»

Haynes si fermò, e si avvicinò a Mundin.

«La tengo d'occhio,» disse. «La porta d'uscita è proprio laggiù... accanto alla sezione dei cassieri. Sarò là, quando lei verrà a depositare quelle azioni.» Si allontanò, con aria minacciosa.

«Green, Charlesworth,» mormorò Mundin, e Don annuì. E chi, altrimenti? Green, Charlesworth direttamente, o uno dei loro satelliti; che, per il momento, stavano semplicemente facendo un controllo.

E, operato il controllo, ora certamente sapevano.

Il gong dei trenta secondi stava suonando. Mundin cominciò a battere il suo ordine; poi premette il tasto di cancellazione.

«È meglio aumentare,» disse a Don, senza voltarsi.

 

333, 500 azioni, quot. mercato

 

Quella volta, ottennero un ribasso di un intero punto...

 

La Borsa era in piena attività da circa mezz'ora, e già il brusio dei commenti era più forte dei richiami degli speculatori. Qualcuno stava vendendo sottocosto le G.M.L.

Dopo il primo ribasso, il mercato si era stabilizzato. Mundin, che continuava a sudare ostinatamente sui tasti del suo sportello, immaginò che Green, Charlesworth avessero dato ordine ai loro compratori di lasciare calare il prezzo di mezzo punto, o al massimo un punto, per volta... non di più. Potevano permettersi di osservare e attendere. Avevano tutto il tempo. E molto denaro. E molti altri mezzi.

E se il tempo, il denaro e i mezzi non fossero stati sufficienti... avevano tantissimi altri sistemi, per impedire i guai.

Don Lavin stava bisbigliando qualcosa. Nervosamente, Mundin sollevò lo sguardo.

«Cosa c'è?»

«Ti ho detto di dare un'occhiata alla Cintura di Trasporto.»

Mundin puntò il binocolo sul Grande Quadro angolare. La Cintura di Trasporto era scesa di dieci punti, e lui non l'aveva nemmeno notato. Era un maledetto momento per distrarsi, pensò, infuriato. Ma non si era aspettato che avvenisse niente di simile così presto; doveva trattarsi di investitori di poco conto, che si erano preoccupati e cercavano di uscire nella maniera migliore possibile. Se quella tendenza si accentuava, i pezzi grossi sarebbero arrivati davanti agli sportelli entro poco tempo.

«Hai ragione,» disse Mundin a Don. «Fa' il segnale a Norvie.»

Dall'altra parte della sala, Norvie rispose al segnale, con un breve cenno, e cominciò ad acquistare piccole quantità di azioni che stavano crollando... tutte, all'infuori delle G.M.L. Picchiava sui tasti come se avesse picchiato Green, Charlesworth, con una collera controllata, allegra. Aveva impiegato molto tempo a rendersi conto di essere ancora vivo, dopotutto; e c'era voluto un tempo ancora maggiore per superare il risentimento che egli aveva istintivamente provato nei confronti di Shep, il quale gli aveva rubato la scena madre, ed era morto come Norvell aveva deciso di morire. Ma adesso era tutto passato... e Norvie esultava, per quella possibilità di lottare, anche se debolmente, anche se in maniera inefficiente...

Verso la metà della seconda ora chiamarono in causa Hubble, con il solito segnale convenuto, ed egli annuì; smise di occuparsi delle sue puntate da due dollari e da cinque dollari, e cominciò a seguire l'esempio di Norvie. Mundin e Don avevano cominciato a vendere gruppi di mille azioni per volta, un valore di circa un milione di dollari a ogni movimento, e stavano ostinatamente, rabbiosamente martellando la vecchia 333, facendola ribassare di un punto, un altro punto... un punto e mezzo.

Già per tre volte il messo condizionato del cassiere era venuto ai loro sportelli, con degli assegni circolari della Borsa, portando via dei certificati azionari e lasciando il denaro; le transazioni si stavano facendo così cospicue da giustificare questo provvedimento. Poi il messo ritornò, e Mundin, dando un'occhiata all'importo dell'assegno, si sentì mancare. Improvvisamente, le cose parvero schiarirsi: Charles Mundin, che stava gettando sul mercato azioni che valevano milioni di dollari a ogni nuovo movimento, Charles Mundin, che novanta giorni prima non aveva avuto neppure i soldi per pagare le rate della sua Segretaria Insonne! Per poco, non si lasciò prendere dal panico; sollevò lo sguardo, terrorizzato, osservò i curiosi che lo circondavano, gli agenti di cambio, gli investitori affascinanti che avevano abbandonato i loro sportelli, le guardie, i bambini della classe in visita, e la loro tranquilla, compassata maestra...

Qualcosa scintillò, attirando il suo sguardo. Sibilò al bambino più vicino a lui:

«Metti via, accidenti!»

Il bambino di otto anni, a disagio in quegli abiti insoliti per lui, arrossì, e si affrettò a infilare la bottiglia rotta più profondamente in tasca, ma non agì abbastanza in fretta per evitare lo sguardo della 'scolara' più grande, una tredicenne magra, ma dal viso dolcissimo, che si avvicinò, minacciosamente. «Non pensarci, Lana,» bisbigliò Mundin. «Basta che non si vedano.» Diede un'occhiata alla 'maestra', e poi si rivolse al fratello della 'maestra', che si trovava accanto a lui.

«Quanto abbiamo venduto?» domandò.

Don Lavin sollevò lo sguardo dal foglio sul quale aveva effettuato i calcoli.

«Direi, poco più di diciottomila azioni.» Una goccia, pensò Mundin. Avevano cominciato con il 25% dell'intero pacchetto azionario della G.M.L... circa sette milioni di azioni, in tutto, e il loro blocco ammontava a quasi due milioni. Continuando con quel ritmo, pensò, sarebbero rimasti là per tutto l'anno.

«Don,» disse. «Don... d'ora in poi, vendiamo assieme. E facciamo duemilacinquecento azioni per volta.»

 

Quattordici miliardi di dollari.

Quattordici miliardi di dollari sono qualcosa di massiccio, quattordici miliardi di dollari possiedono una loro inerzia; non si possono scuotere così facilmente. Colpite quattordici miliardi di dollari con un Juggernaut. Il Juggernaut si sbriciola, e rovescia in strada tutto il suo carico di divinità indù; i quattordici miliardi di dollari rimangono immobili.

Ma quattordici miliardi di dollari, come qualsiasi altra cosa che il buon Dio abbia mai creato, hanno un ritmo naturale di oscillazione. Colpiteli con una piuma, e aspettate; colpite ancora; colpite ancora. L'oscillazione comincia. Il gigante vibra e trema e oscilla.

E il venticinque per cento di azioni di Don Lavin non era certo una piuma.

Le cifre, sul Grande Quadro, stavano calando, ora, a ritmo vertiginoso... '333, ribasso 10'; '333, ribasso 6'; e, anche se una sola volta, incredibilmente, '333, ribasso 42'. Lavorando come negri, Mundin, Bligh, Hubble e i Lavin erano riusciti a ridurre a metà l'ammontare complessivo dei loro patrimoni. Ed era ormai tempo che qualcosa accadesse.

Qualcosa accadde.

«'No, due. 'No,due. 'No,due.» Era un plotone di otto uomini della Polizia municipale, e alla loro avanguardia...

Del Dworcas.

Del si fermò, freddamente, davanti a Mundin, attraverso un sentiero aperto dai poliziotti nella folla sbalordita che circondava l'avvocato.

«Tu,» disse, amaramente. «Imbroglione, ingrato, farabutto, tu!» Oh, no! pensò Mundin, incredulo. Dworcas non poteva essere... «Ti consegno formalmente,» disse Dworcas, in tono ufficiale, «Questa Ingiunzione Giudiziaria... dagliela, Herb... e pongo sotto sequestro conservativo tutte le tue proprietà. Ottocento dollari, Mundin! Che ti avevo prestato, per aiutarti, e ora tu cerchi di fregarmi! Con tutto il denaro che possiedi! Guardate questi certificati azionari! Guardate queste azioni! Ragazzi, sequestrate tutta questa roba, e andiamocene da qui.» Si asciugò gli occhi, con molta dignità, e si voltò, e i poliziotti avanzarono verso il patrimonio di Mundin e di Lavin.

«Fermi,» gridò Mundin. «Del, ascolta... stai giocando come uno stupido con qualcosa di molto più grande di te.» Dworcas indietreggiò, involontariamente, si guardò alle spalle, e guardò di nuovo Mundin, nervosamente. Si inumidì le labbra.

«Proprio così, signore,» disse la tredicenne dal visino dolce che si trovava accanto a Dworcas. «Gli dia una possibilità. Avanti.»

Dworcas, apparentemente, faticava a respirare.

«Uh... be', d'accordo,» riuscì a dire. «Andiamo, Herb.»

«No, signore,» lo implorò la bambina dal visino dolce. «Lei non vuole andare via... vuole solo mandare via i poliziotti. Lei vuole restare qui, per sorvegliare il suo denaro, vero?»

«Vero,» disse Dworcas, amaramente. «Fila, Herb.»

Il gigantesco poliziotto corrugò la fronte, e obiettò:

«Io gli ho consegnato l'ingiunzione, Del. C'è scritto che dobbiamo prendere in custodia le sue proprietà.»

«Fila, Herb!»

Il poliziotto si strinse nelle spalle, visibilmente seccato, e, radunato il suo plotone, se ne andò a passo di marcia, rabbioso.

«Buon lavoro, Lana,» disse Mundin, che stava di nuovo respirando.

Lei scrollò le spalle.

«Va bene, ragazzi,» disse. «Potete riporre le bottiglie. Rimarrà tranquillo, vero, amico?»

In tono strozzato, ma sincero, Dworcas annaspò:

«Sicuro!» e continuò a osservare i Coniglietti, con occhi vitrei come le bottiglie che essi stavano nascondendo di nuovo tra i loro abiti, dietro di lui.

Mundin si volse stancamente verso il Grande Quadro. Aveva perduto un paio di movimenti, ma... ma...

Tenne il binocolo puntato sulla Linea 333, rigidamente, per diversi secondi. C'era scritto, 333, ribasso 13.

«Don,» disse, incredulo. «Don, è cominciato. Qualcun altro sta vendendo!»

 

Coett? Nelson? O addirittura Green, Charlesworth? Non riuscirono mai a saperlo. Ma, nel giro di pochi minuti, furono tutti. La Vecchia 333 affondò e affondò e affondò rovinosamente. Ululando come pazzi, Mundin e Lavin gettarono sul mercato decine di migliaia di azioni per volta, e altre migliaia di azioni apparvero, da riserve azionarie segrete, da antiche procure di vendita, perfino dall'aria, a quanto pareva. Ribasso 15. Ribasso 28. Ribasso 47. Ribasso 61.

L'intero mercato era impazzito, ora, e le cifre del Grande Quadro avevano ben poco a che fare con quello che stava accadendo in quel preciso momento; erano indietro di diversi minuti. Ci furono degli incidenti, in due occasioni, e le bottiglie rotte apparvero, e un paio di gorilla sanguinanti caddero sul pavimento della Borsa, e vennero calpestati dalla folla. Ma solo in due occasioni. La densità della folla li proteggeva; i carri armati di Hitler non avrebbero potuto aprirsi un varco in quella massa, per raggiungere Mundin.

Quello era il punto critico, si disse Mundin disperatamente, curvo sui tasti, intento a lanciare ordini sul mercato, e in attesa della lenta, esasperante reazione del Grande Quadro, che un tempo era stato istantaneo. Era quello il momento nel quale avrebbero dovuto tastare il polso al mercato, con discrezione, e sapere quando, senza apparire troppo all'inizio, avrebbero dovuto smettere di vendere, e quando, invisibilmente, avrebbero dovuto cominciare a comprare. Una mano scivolò sopra la sua spalla e raccolse qualcosa.

«Non provarci, amico!» ordinò raucamente Mundin, sollevando lo sguardo. Ma era soltanto Del Dworcas, che stava riprendendo la sua ingiunzione, quella che il suo poliziotto aveva consegnato a Mundin.

Il volto di Dworcas era pallido, ma composto, mentre egli strappava il foglio in minutissimi frammenti.

«È tutto tuo,» disse a Mundin, lasciando cadere i frammenti sul pavimento. «Io mi rendo conto del momento in cui è meglio abbandonare il cavallo perdente, Charles. E non dimenticare il nome di chi ti ha messo in contatto con i Lavin.»

Il giudizio di un abile uomo politico, pensò Mundin, sorpreso. Pareva una voce uscita dalla tomba... la voce di Ryan.

E, grazie a quella voce, egli capì che avevano vinto.

 

CAPITOLO XXVI

 

Quella notte, festeggiarono la vittoria a Torcibudella... perché nessun posto sembrava loro più appropriato. Fu una celebrazione tranquilla, ma piena di orgoglio. Avevano vinto, tutti insieme. E tutti insieme possedevano ora la più grande concentrazione di potere che il mondo avesse mai visto.

Ancora non sapevano, esattamente, l'intera portata di quello che possedevano. Mundin e Norvie avevano compiuto un faticosissimo calcolo delle loro azioni, per quanto riguardava la G.M.L. e si erano fermati circa al settanta per cento. Avevano riavuto interamente il loro pacchetto azionario, e probabilmente quello di Coett, quello di Nelson, e molti altri pacchetti... tanti, da permettere loro di sapere, con assoluta certezza, che avevano affondato le mani nella riserva stessa di Green, Charlesworth. Comunque, qualunque ne fosse la provenienza, era più che sufficiente.

Era più che sufficiente a rendere le Case Lavin... non più G.M.L... quello che il vecchio Lavin aveva desiderato.

«Cintura di Trasporto Privilegiate,» recitò Hubble. «Duecentocinquanta azioni.» Don Lavin osservò il suo elenco, fece un segno, e disse:

«Controllato.»

Hubble, con molta cura, mise da una parte il certificato azionario, e ne prese un altro.

«Nazionali Non-Ferrosi... ehi, questo è Nelson! Nazionali Non-Ferrosi, millecinquecento azioni.» Si grattò la testa. «Le ho comprate io? Be', non importa. Società delle Piccole Parlanti... aspetta un momento.» Guardò il certificato che gli era stato rilasciato dalla Borsa. «Qualcuno ha mai sentito parlare di una Società delle Piccole Parlanti? A quanto sembra, abbiamo ottenuto una maggioranza azionaria. Hai il catalogo delle società, Mundin?» Nessuno aveva mai sentito parlare della società. Hubble si strinse nelle spalle, fece un perfetto aeroplanino di carta con il certificato, e lo fece veleggiare nell'aria verso Lana. «Ecco, piccola. Credo che sia una fabbrica di bambole. È tua.»

Lana parve sorpresa, poi bellicosa, e infine smarrita. Raccolse il certificato, e lo guardò, incerta.

«Bambole,» disse, in tono pensieroso.

Hubble infilò tutti gli altri certificati nella sua valigia, e diede un'amichevole pacca sulla schiena di Don Lavin.

«All'inferno. Finiremo domani. Non è esattamente un portafoglio equilibrato, ma...» Quando sorrideva, il suo volto era stranamente giovane e felice. «Lo abbiamo messo insieme un po' in fretta. Comunque, sembra che possediamo un po' di tutto.»

«Ne avremo bisogno,» disse Norma, con il capo appoggiato sulla spalla di Mundin, e rannicchiata nelle braccia dell'avvocato. «Quei vecchi mostri, nelle loro bottiglie di vetro...»

Mundin le accarezzò la guancia.

«Non saprei,» disse, dopo un momento. «Ormai, è come se fossero morti, sai. L'unico motivo di vita, per loro, era il potere, e quando abbiamo fatto saltare il mercato abbiamo tolto loro quel potere. Noi...»

Si interruppe. La casa parve tremare e cigolare. Un abbagliante lampo di luce bianca brillò, fuori, diventò arancione, e si spense.

«Cosa succede?» domandò Norvie Bligh, circondando le spalle della moglie con il braccio, con aria protettiva.

Nessuno lo sapeva; e salirono tutti al secondo piano, vecchio e cadente, dove c'era una finestra che aveva ancora il vetro... dove c'era una finestra che aveva avuto ancora il vetro, scoprirono subito. Il vetro era sbriciolato, sul pavimento.

Al di là della baia oscura, luminosa anche nella luce della sera, là dove la Vecchia New York era rimasta abbandonata a marcire nel tempo... ora si stava lentamente sollevando una nube a forma di fungo.

«Green, Charlesworth,» disse Norvell, lentamente. «Penso che tu non sia stato l'unico a capire che tanto valeva essere morti, per loro, Charles.»

Rimasero lassù per un lungo minuto, guardando la nube veleggiare lentamente verso il mare, un impalpabile, fugace monumento per il suicidio degli Struldbrugs, e certamente l'unico monumento che essi avrebbero avuto...

«Possiamo scendere, ora,» disse Mundin. «Dobbiamo fare un po' di pulizia, no?»

 

FINE